TABLE-TALK: OVVERO, QUANDO L’IGNORANZA E’ UNA VIRTU’. ANCHE TRA LE LENZUOLA

TABLE-TALK: OVVERO, QUANDO L’IGNORANZA E’ UNA VIRTU’. ANCHE TRA LE LENZUOLA
William Hazlitt L'ignoranza delle persone colte

“Ci sono molte cose per le quali il fatto di essere proibite costituisce la loro unica tentazione. “

È una frase di William Hazlitt che potrebbe scatenare tempeste di riflessioni sui perché del gusto di praticare sesso a pagamento o di alcune tendenze, deviazioni sessuali e perversioni.

Il mio modesto consiglio, che si poggia sulle più autorevoli convinzioni di WH, è di provare sempre a scavare dentro di sé e magari comprendersi un po’ meglio. Inviterei chiunque a non esagerare con lo studio, elucubrazioni e masturbazioni mentali. Meglio invece lasciarsi andare e dedicarsi all’azione. Perché farà un gran bene.

All’uopo vi consiglio una lettura che poco ha a che fare coi nostri amati argomenti legati a sesso, meretricio e pornografia. Una sorta di mio personale omaggio in sottrazione alla festa del Natale e alla sacra continenza che queste date imporrebbero.

“Table-talk” ha da pochissimo compiuto 200 anni, sono 7 saggi scritti appunto l’inglese William Hazlitt.

Sono i “discorsi da tavola”, lo stesso titolo della rubrica che Hazlitt tenne sul «London Magazine» dal giugno 1820 al dicembre dell’anno successivo,e poi  sulla «Monthly Review» dal 1822 al 1824. Sono proprio questi gli anni più tormentati della sua vita privata. Dopo Waterloo, nel 1815, un colpo durissimo per le speranze politiche di un ammiratore di Napoleone come lui, Hazlitt doveva subire anche una terribile delusione personale. A quarantadue anni, nell’agosto 1820, ormai separato dalla prima moglie, conobbe Sarah Walker e se ne innamorò perdutamente. Un amore folle, smisurato. Sarah aveva sedici anni ed era la figlia del sarto che gli affittava una camera ammobiliata. Dopo un periodo di temporeggiamento, di William Hazlitt non ne volle sapere. Di fronte al rifiuto della ragazza, il “metafisico” saggista non riuscì a trovare la forza per farsene una ragione e cadde in una depressione furiosa che, a detta dei conoscenti, lo stava portando sull’orlo della follia. Herschel Baker, biografo amorevole e sempre pronto a smussare gli angoli più aspri della personalità hazlittiana, ha intitolato il capitolo dedicato alla passione per Sarah Walker A mind diseased ‘una mente malata’. Hazlitt si curò scrivendo a ritmi vertiginosi e mettendosi a nudo di fronte a sé stesso. Il Liber amoris, resoconto quasi stenografico dei suoi colloqui con la ragazza, e raccolta dei loro scambi epistolari, è il risultato più diretto e sconcertante di questa cura. Hazlitt si mette alla berlina da solo, cura omeopaticamente la vergogna con la vergogna: non contento di ciò, dà il libro alle stampe e subisce l’insulto finale dei critici avversari. A parte questa operazione di catarsi a cuore aperto, Hazlitt metabolizza l’affaire Walker anche nei saggi di Table-Talk. Non si tratta in questo caso di un’ennesima narrazione degli eventi, ma di un ritorno sui temi di sempre con una partecipazione più sentita, un tono più vibrante, una maggiore conoscenza della vita.

L’umiliazione subita da una sedicenne qualunque, né colta, né di buona famiglia, né particolarmente intelligente è per Hazlitt l’avverarsi più concreto del principio secondo cui chi è troppo immerso nei libri e nelle proprie riflessioni non ha poi successo nella vita pratica, negli affari e quindi con le donne.

Possiamo, anzi dobbiamo riscoprirlo in un inedito estratto, fresco di una brillantissima recente traduzione col titolo italiano di “L‘ignoranza delle persone colte” edita da Fazi.

Riporto integralmente un articolo che Ylenia Gironella ha scritto su “Lavocedellelotte” il 18.05.2018, che permetterà, ai più curiosi tra voi, di conoscere meglio la forza scardinante del pensiero di Hazlitt.

Paradossale, irriverente, beffardo, passionale nel tenere la posizione su giudizi controcorrente, curioso istrionico nel destreggiarsi fra citazioni e rimandi colti, Hazlitt risulta di un’attualità sconcertante e di facile immedesimazione per il lettore contemporaneo. Persona e personaggio particolare per il suo tempo; conoscendo la sua biografia si comprende la ragion d’essere dei suoi scritti polemici e il bisogno recondito di dare voce ad un pensiero che egli non poteva tacere e tenere per sé, anche se il silenzio avrebbe comportato una sorta di tacita e pacifica emarginazione sociale, evitandogli l’ostilità aperta dei suoi contemporanei. L’autore era solito dar voce alle opinioni non richieste, a dire cose scomode per società e morale comune e se ne infischiava beatamente del fatto che questo potesse renderlo una sorta di pensatore incompreso dal suo tempo: non smise mai di osservare il mondo e di esprimere su di esso la sua opinione, mai convenzionale. La sua originalità ha un carattere di franchezza a volte brutale, per nulla gradito nell’ambiente letterario, teatrale e romantico del tempo. Hazlitt divenne saggista per la sua bella prosa di stampo illuminista e per la sua verve polemica – spontanea, involontaria, mai artificiale. Egli pretendeva di dire ciò che voleva senza cerimonie di sorta e i contemporanei da lui citati arrivarono a odiarlo. Nota è la sua lunga amicizia con il poeta Coleridge, che si ruppe in un momento per l’apparente irriverenza contenuta in una lirica.

Nella realtà l’autore desiderava giungere alla verità evitando accuratamente le frasi fatte e gli interventi prefabbricati: due piaghe diffusissime anche nello scrivere odierno; stava lontano da pezzi composti a tavolino e aborriva lo scritto schematico, il linguaggio del riporto, lo specialismo esangue. Non era uno di quegli scrittori che evitano di pronunciarsi e svaniscono nella nebbia morendo d’insulsaggine. Nei suoi saggi è presente sempre e con enfasi, senza rumore e senza vergogna. Dice esattamente ciò che pensa e dice esattamente quel che prova. Aveva una straordinaria consapevolezza della propria esistenza e, siccome “non passava giorno che non gli infliggesse uno spasmo d’odio e di gelosia, un fremito d’ira o di piacere”, nel leggerlo entriamo spesso in contatto con un carattere singolarissimo: bisbetico ed insieme magnanimo, gretto e tuttavia nobile, assolutamente egoista eppure ispirato da una passione per i diritti e le libertà del genere umano.

Hazlitt ammirò, in special modo Rousseau, Napoleone, Stendhal, Locke, Hume, Milton, Keats: un ondeggiare fra realismo, romanticismo e classicismo dalle sue fonti d’ispirazione.

William Hazlitt

Dal clima romantico prese le cose meno svenevoli o non svenevoli affatto, ammirò Rousseau e si fece ammaliare dalla poesia vibrata e sincera di Keats: non più di tre, per il poeta, erano “le cose di cui godere”: una di queste era “la profondità del gusto” di Hazlitt.

“Il principale svantaggio di sapere di più e di vedere più lontano degli altri, in genere, è di non essere compresi”. Pensiero sostenuto apertamente dall’autore nel suo saggio “Sugli svantaggi della superiorità intellettuale”, uno dei sette appartenenti a “Table-Talk”; sette testi ricchi di sense of humour e di eccentricità tutta britannica, che con uno stile semplice e diretto vanno a trattare temi come la moralità e la filosofia, la letteratura e il sapere fino alle esperienze quotidiane. Leggerli è un vero e proprio piacere e nonostante siano stati scritti quasi due secoli fa, sono molto più attuali di quanto possano sembrare. Anche Petrarca -ricorda- si lamentava in un passo del suo Canzoniere che la natura lo aveva fatto diverso da altri, “Singular d’altra genti”, e aggiunge: “la vera felicità della vita consiste nel non essere né migliore né peggiore della media di quelli che si incontrano. Se sei al di sotto, ti calpestano, se sei al di sopra degli altri, trovi subito che il loro livello è inaccettabilmente basso, perché rimangono indifferenti davanti a ciò che ti piace di più.” Una rinuncia a qualsiasi virtù e ambizione per amore della pace sociale e da quella garantita dal poter confondersi nella massa come nel proprio elemento. Una forma di individualismo che si accompagna evidentemente ad una misantropia di fondo e ad un pessimismo cinico, come già detto, sulle sorti della società e sulla possibilità di miglioramento dell’uomo.

La raccolta, oltre al saggio che dà il nome al libro, contiene: “Sul pensiero e sull’azione” “Sul fare testamento”, Sull’effemminatezza del carattere”, “Sulle istituzioni”, “Sugli svantaggi della superiorità intellettuale”, “Sulla paura della morte”. Ognuno di essi espone sinteticamente la tipologia umana che vuole attaccare; ne emerge un ritratto spietato e ricco di sarcasmo di un’umanità il più delle volte gretta e inutilmente vanitosa che non accetta i propri limiti come parte essenziale di sé, rischiando ogni volta, di scadere nel ridicolo.

Le critiche – supportate da citazioni di autori di tutti i tempi – sono argute e vanno oltre gli screzi della società e della politica del tempo, ma colgono la natura del problema, di quello che non funziona, di quello che stride, che non è come dovrebbe essere o agisce nell’ipocrisia, ed è proprio per questo motivo che ê traslabile nel nostro contesto storico, anche se molto diverso da quello ottocentesco in cui è stato scritto. Ovviamente, dato il periodo in cui l’opera si inserisce potrebbe risultare un po’ostica per il linguaggio adoperato, che risulta complesso fruibile ma non sempre fluido, comprensibile ma non sempre immediato o facile. L’utilizzo stesso di diversi campi semantici, di molte discipline (dalla filosofia, alla letteratura, alla morale), con considerazioni dai toni più metafisici, sino alle esperienze più empiriche e quotidiane, crea un mix complesso che si comprende meglio (paradossalmente) se si ha avuto modo di leggere e studiare cioè se si è un minimo colti e dunque oggetto della polemica dell’autore. Non un’indagine oggettiva sui colti, certo, ma un brillante esempio, sempre molto piacevole da leggere, del metodo di “polemica assoluta” di Hazlitt, il quale espone il suo punto di vista e lo rafforza con tutte !e argomentazioni che trova a favore, letterarie, filosofiche, eccetera; l’autore così, espone concetti a lui cari e soprattutto consiglia alle persone colte cosa fare, come comportarsi in presenza di persone non colte, o di ceti inferiori – ai suoi tempi, molto più che oggi, essere colti era sinonimo d’appartenenza alle classi medio-alte della società; ciò non toglie che Hazlitt eviti un tono riverente, e che se la prende un po’con tutti: lettori generici (che vede nel complesso come persone senza idee), lettori accaniti (che secondo l’autore seguono la pallida ombra della credibilità degli scrittori, senza possederne una propria) – ovvero gli scrittori stessi, ma anche l’ambiente dell’accademia inglese. Di fronte ad un attacco frontale di questa portata, viene spontaneo chiedersi chi sia veramente colto ed istruito per l’autore. Non preoccupatevi, c’è risposta anche a questo: “Il più istruito di tutti è colui che conosce meglio tutto ciò che ci è di più lontano dalla vita quotidiana, dall’osservazione immediata, che non è di alcuna utilità pratica, che non può essere provato dall’esperienza e che, dopo aver passato attraverso un gran numerosi studi intermedi, resta ancora pieno di incertezza, di difficoltà e di contraddizioni. È vedere e ascoltare con occhi e orecchie altrui, è credere ciecamente al giudizio degli altri”. Hazlitt stima moltissimo le donne, le quali, a suo dire hanno maggior buon senso e maggiore naturalezza nelle opinioni e nelle loro espressioni. Ma apprezza in particolar modo anche un certo tipo di uomini: quelli che “si sono fatti da sé”, le persone che hanno forgiato il loro carattere girando per il mondo, osservando in prima persona e comprendendo concretamente le regole degli uomini, della vita, traendo cultura dal vivere stesso. Emerge invece un odio vivido verso le persone pompose e piene di sé: coloro che, pur avendo studiato e speso del tempo per apprendere cultura e sapere, poi di dimostrano particolarmente ignoranti e supponenti giudicando gli altri, come se la cultura avesse dato loro il potere di giudizio inconfutabile, e di verità assoluta e di azione dall’alto semidivina. Un tipo di persona che ritroviamo in svariati ruoli e contesti sociali, in politica, nell’ambiente letterario… con la facoltà di fare danno al prossimo e alla società in maniera più o meno accentuata a seconda del potere di cui dispongono. Quello che Hazlitt dice suona come una provocazione: una provocazione che però risulta costruttiva, non mossa dal solo desiderio di urtare e distruggere, che espone considerazioni che in realtà possiamo ritrovare nella conversazione quotidiana come critiche accennate, semplificate, banalizzate: Hazlitt vuole invece produrre un discorso di più ampio respiro, contestualizzato, che offra spunti di riflessione critica sulla società, su chi ci governa, sugli scrittori che leggiamo. Quest’ampiezza di vedute porta lo scrittore su terreni decisamente “pericolosi”, secondo il “senso comune”, col risultato di minare dal di dentro le roccaforti del pensiero. Nella sua animata critica al sapere, rivela tutta la pericolosità di una fiducia cieca nella parola, nella nozione volutamente astratta: il suo ripercorrere la genesi di questi concetti lo porta a riconoscere che la menzogna, il raggiro fanno da fondamenta agli squilibri ed alle ingiustizie che l’impostazione della produzione e della trasmissione della cultura genera. Se una cosa è vera solo perché qualcuno l’ha scritta, ecco che il gioco dei potenti si fa ancora più facile perché tutto diventa possibile, come smerciare gli scritti di uomini per parola divina in modo da porre sotto sigillo insindacabile le leggi più inique, oppure imporre un punto di vista apparentemente democratico, ma in realtà asservito al potere dominante e così via. Il passo verso l’epoca delle fake news, come strumento principale della lotta politica sui media moderni è molto breve. E ancora, si rimane letteralmente sbigottiti nel leggere il saggio “Sulle istituzioni” poiché a dispetto degli anni trascorsi e della diversità del luogo, il quadro del ceto politico che dipinge è tristemente simile al disdicevole spettacolo che siamo costretti a sopportare quotidianamente oggi in Italia. Non c’è sociologo che sia riuscito a dire così tanto in così poche pagine, a dare un quadro così vivido di tante dinamiche, di tante contraddizioni della società moderna, del capitalismo e della sua democrazia borghese, degli schemi sociali che ne derivano: qui troviamo il nostro presente ma anche il nostro futuro. ,Hazlitt riconosce che le istituzioni (quelle statali come quelle sociali, culturali nei rispettivi ambiti), sono più corrotte e più guaste degli individui, perché concentrando il potere possono far danno più duramente, perché non sono esposte allo stesso modo al disonore e alla punizione, perché non provano vergogna, né rimorso, né gratitudine, né benevolenza. La coscienza individuale del singolo componente non solo ha la difficoltà nel rapporto con le coscienze altrui, ma viene piegata e soffocata a favore del vantaggio politico, del privilegio, della spartizione di bottini di ogni tipo: ciascun membro raccoglie il profitto e rovescia come può i danni e le colpe sugli altri. La passione che domina nelle istituzioni è lo spirito cieco di corpo: chi solleva obiezioni verso la propria istituzione, verso la società è messo tacere e, se individuato come “intruso”, rischia l’esclusione sociale. L’energia è bloccata, la coscienza disinnescata, alla morale si sostituisce l’ufficialità, la convenzione sempre più vuota.

Ylenia Gironella, Lavocedellelotte, 18.05.2018

William Hazlitt

Hazlitt è una figura che non ho timori a definire come sconosciuta ai più ma citata continuamente. Le sue frasi vengono trasformate da tanto tempo in celebri aforismi. Un po’ come accade a quelle deliziose arie composte da WA Mozart che tutti fischiettano ma cui pochi riescono a dare un padre.

Raccontarono di lui come di “un tipo riflessivo, attento, originale... I suoi modi 99 volte su 100 sono particolarmente scostanti: aggrotta la fronte, sta lì a contemplarsi la punta delle scarpe, è strano... Credo senz’altro che in fondo sia un buono: ama i bambini, è premuroso e paziente con loro, ma è geloso, cupo, orgoglioso, permaloso e dedito alle donne, intese come oggetto di piacere sessuale. Con tutto ciò, c’è molto di buono in lui: è disinteressato, ama entusiasticamente i grandi uomini del passato. Dice cose che sono sue in un modo che è suo... scocca pensieri ben appuntiti e ben bilanciati dritti al bersaglio vibrando sonoramente la corda dell’arco.”

LA PASSIONE SEMPRE PRIMA DELLA RAGIONE.

L’uomo non è ciò che pensa, e non è ciò che percepisce con i sensi, ma ciò che immagina, e quello che immagina più fortemente diventa la sua passione. Questo in sostanza è il discorso di Hazlitt.