PICASSO, IL PENE E IL PENNELLO.

PICASSO, IL PENE E IL PENNELLO.

Nella nostra continua esplorazione dell’erotismo e del sesso, e della sua declinazione nelle varie forme che gli esseri umani hanno escogitato per esprimersi, dalla letteratura al cinema, dal teatro alla televisione, si impone una riflessione di quanto questa forza creatrice e potentemente ispiratrice sia intrecciata ad una delle massime espressioni artistiche dell’essere umano: la pittura.

Voglio però rassicurare il lettore che non sarà un’indagine storica e critica la mia, questa la lascio a persone più competenti, ma piuttosto un’analisi del forte legame tra erotismo e arte nell’opera di uno dei più grandi pittori del ventesimo secolo: Pablo Picasso.

Ora, sarebbe certamente banale affermare che Picasso fosse ossessionato dal sesso. Egli era ossessionato dal pos(sesso) e dalla comprensione di ogni anfratto dell’anima (e del corpo, aggiungerei) delle donne che amava, alla cui esplorazione dedicò tutta la sua vita, la sua virilità e la brama del suo pennello.

Per Picasso arte e sesso erano la stessa cosa, al punto tale che quando dipingeva, quando creava, consumava sé stesso e la materia come in un amplesso.

Per Picasso le donne, l’amore, il sesso erano un bisogno primitivo, attraverso il quale creare la sua personale leggenda, forgiare il suo ego, nutrire il suo genio.

Picasso era intrattabile, capriccioso e contraddittorio, eccessivamente vulcanico e testardo, spigoloso e irascibile, sanguigno e vendicativo, a tratti dispotico e prepotente.

Queste ultime caratteristiche si sono rivelate soprattutto nel suo rapporto con le donne. Moltissime quelle che si sono innamorate di lui e che egli ha tradito. Non poteva resistere all’attrazione per il gentil sesso e ogni sua relazione è stata a dir poco burrascosa e passionale ben oltre i limiti di sopportazione. Quattro i suoi figli, due le mogli che ha avuto, ma infinite le sue amanti, alcune delle quali hanno poi vissuto le conseguenze devastanti della loro relazione con il pittore.

Per dirla usando il linguaggio del bieco pettegolezzo, era un genio assoluto accanto al quale era quasi impossibile vivere.

Si dice che una delle sue opere minori, la statuina di una capra incinta, l’avesse fatta al volo mentre era in visita a casa sua la cognata gravida all’ottavo mese, che quando vide come era stata ritratta scoppiò in lacrime e levò le tende. L’artista più rappresentativo del XX secolo, colui che con il suo impegno pacifista ha lanciato l’idea di fare della colomba il simbolo della pace, era deleterio per le donne. Dalla relazione con lui ne uscivano così distrutte che si parla ancora della “maledizione delle donne di Picasso”. Picasso non era nemmeno una gran bellezza, neanche da ragazzo. Alto 163 cm, tarchiato, con un gran nasone. Eppure, piaceva molto e ha avuto tante storie d’amore famose con donne carismatiche stregate dal suo intelletto, della sua personalità ruvida e del suo talento artistico.

Dapprima, Picasso frequenta le sue modelle. Dal 1904 al 1912 ha una relazione con Fernande Olivier, la prima documentata. Poi con Eva Gouel, soffiata all’amico Louis Marcoussis. Pare che i suoi quadri che raffigurano chitarre o violini fossero in realtà ritratti di Eva. La poverina soccombe nel 1915 a causa della tubercolosi.

La prima storia importante è con Olga Koklova (o Khokhlova o Chochlova, la traslitterazione dal cirillico non è mai definitiva), una ballerina ucraina. Olga era nata nel 1891, col sogno di diventare danzatrice reso più vivido da una visita in Francia durante la quale aveva assistito a un grande spettacolo. Riuscì infine a entrare nel corpo di ballo russo di Sergei Diaghilev. Picasso la incontrò quando venne incaricato di disegnare i costumi e le scenografie per lo spettacolo Parade, di Diaghilev, Jean Cocteau ed Erik Satie, in scena al Théâtre du Châtelet di Parigi. Fra la ballerina e l’artista scoppiò una passione così travolgente che lei abbandonò la compagnia di ballo mentre era in partenza per il tour in Sudamerica, per andare a Barcellona a conoscere i genitori di lui. Che invece erano molto contrari alle nozze con una straniera. I due ritornarono a vivere a Parigi a Rue La Boétie. Il 12 luglio del 1918 si sposarono con rito ortodosso, i loro testimoni erano due grandi artisti dei circoli frequentati da Picasso: Jean Cocteau e Max Jacob. Il 4 febbraio del 1921 Olga diede alla luce Paulo. E da quel momento, il sogno romantico finì. Picasso cambiò completamente l’atteggiamento verso di lei, come se nella sua nuova veste di madre Olga non lo attirasse più. Nel 1927 iniziò una relazione con una ragazzina di 17 anni, Marie-Thérèse Walter e quando 8 anni dopo Olga scoprì la doppia vita del marito ne fu devastata. Fuggì nel sud della Francia con il figlio e chiese il divorzio. Ma poiché Picasso non accettava di riconoscerle la metà dei suoi beni, come prevedeva la legge francese, i due rimasero sposati fino alla morte di lei per cancro, nel 1955. Fu la prima vittima della maledizione Picasso.

Marie-Thérèse Walter, l’amante bambina e Pablo

Del passato di Marie-Thérèse Walter si sa poco o niente. Anche perché a 17 anni la sua vita era già legata clandestinamente, ma a doppio filo, a quella di Pablo Picasso. I due si erano conosciuti ai magazzini Lafayette di Parigi. Picasso aveva 45 anni, era sposato e padre di un bambino di 6 anni. Marie-Thérèse non aveva mai avuto un padre e viveva nel sobborgo di Maisons-Alfort con la madre e due sorelle. Non navigava nell’oro, ma era molto bella. Picasso le propose di posare per lui e la portò nel suo studio. Probabilmente la relazione iniziò quel giorno stesso, ma Picasso si guardò bene dal vantarsi con chiunque, persino con i suoi fidati amici artisti, di tradire la moglie con una minorenne. Per giustificare la sua assenza, la ragazza disse alla madre di aver trovato un lavoro. Ma quando la famiglia di lei scoprì tutto, successe dapprima il finimondo. Poi la madre si adattò alla situazione e Picasso intraprese una vera e propria seconda vita, frequentando la famiglia di Marie-Thérèse come se fossero fidanzati, attrezzando persino un laboratorio di pittura nel giardino di casa loro. Quando nel 1928 lui affittò una casa in Bretagna per trascorrere le vacanze estive con moglie e figlio, sistemò anche l’amante in un hotel vicino. Quando nel 1930 comprò il castello di Boisgeloup, ingannò moglie e amante promettendo a entrambe “sarà il nostro nido d’amore”. Olga ci si recava fine settimana col bambino, poi tornava in città per la scuola, e arrivava Marie-Thérèse. Picasso non commetteva un passo falso, tenne anche nascosti i ritratti dell’amante fino al 1932, quando li espose per la prima volta.

Nel 1933 Marie-Thérèse rischiò di annegare nel Marna e la sua salute rimase compromessa a lungo. Picasso, colpito dall’episodio la disegnò come una ninfa d'acqua. Un anno dopo, la ragazza era incinta. A quel punto Olga scoprì la tresca. Non avendo più nulla da nascondere, la giovane amante si trasferì nello stesso palazzo della famiglia legittima di Picasso. Il 5 settembre 1935 nacque Maya, quella che sarà la loro unica figlia, e la storia si ripete. Il pittore cominciò a trovare poco interessante la sua amante che ormai aveva 25 anni e nemmeno un intelletto particolarmente brillante. Non certo come quello di Dora Maar, artista anche lei. Due mesi dopo la nascita della figlia, Picasso e Dora erano già amanti. Marie-Thérèse si si ritirò nell’Île-de-France, dove Picasso la visiterà di tanto in tanto, per la vanità di sentirsi amato, continuando a farle promesse che mai manterrà. Nel 1955, quando muore Olga, le propone anche di sposarla per la bambina, ma lei rifiuta. Ha ormai mangiato la foglia e si rende conto di aver gettato al vento la sua vita. Dopo quella proposta non lo vedrà mai più, e nel 1977 si suiciderà. È la seconda vittima della maledizione.

Dora Maar e una sua opera

Dora Maar era una donna dai mille talenti. Nata il 22 novembre del 1907, figlia di un architetto croato e di una francese, si chiamava in realtà Henriette Theodora Markovitch ed era mancina, cosa inaccettabile per l’epoca. Venne forzata a usare la destra, e così finirà per saper usare entrambe le mani. Cresciuta in Argentina, dove lavorava il padre, parlava correttamente inglese, francese e spagnolo. Nel 1926 la famiglia si trasferì a Parigi e lei frequentò l’Academie Julian, il corrispettivo femminile dell’Accademia delle Belle Arti. Nell’ambiente artistico studentesco in cui si immerse coniò il suo nome d’arte e si dedicò soprattutto alla pittura e alla fotografia. Picasso lo conobbe nel 1935, presentato dall’amico comune Paul Eluard, il poeta fondatore del Surrealismo. Pare che Picasso, al tempo 54enne e neo padre della seconda figlia Maya, non rimase particolarmente colpito da lei, tanto che quando la rivide tempo dopo in un ristorante non se ne ricordava. Dora Maar indossava dei guanti neri e stava giocando con un coltello. È stato quando si è tagliata accidentalmente e ha macchiato di sangue la tovaglia, che qualcosa è scattato nella testa del pittore. Chiese a Eluard, seduto a fianco a lui, chi fosse donna, ed Eluard li presentò ancora. Picasso le parlò in francese, lei rispose in spagnolo perfetto. Fu il colpo di fulmine. I due iniziarono a vedersi nella casa di Saint Tropez della surrealista Lise Deharme, poi Dora ne affittò una nei pressi dello studio di Picasso. Il momento storico era difficile. Dora era molto coinvolta nella politica e stimolava la creatività del suo uomo. È stato durante l’inizio della loro relazione che Picasso dipinse il suo capolavoro, Guernica. Lui la ritrasse più volte, la loro relazione andò avanti fra alti e bassi ma il vento della guerra ammantava il loro cielo di un fumo che nascondeva il paradiso. Entrambi dotati di carattere forte e idee a volte opposte sul conflitto bellico che stavano vivendo. Anche stavolta, quando nel 1942 Picasso incontrò la pittrice François Gilot, toccò a Dora Maar subire il tradimento. Nel 1946 Maar non riuscendo a dividere Picasso con un’altra, troncò la relazione. Il gesto coraggioso le costò un ricovero in clinica psichiatrica e lunghe terapie a base di elettroshock. Ne uscì due anni dopo, riprese una vita normale, ma solo all'apparenza. Fra lei e Picasso si instaurerà una relaziona a distanza fatta di recriminazioni che durerà fino al 1973, quando Dora, che ha venduto quasi tutti i dipinti di Picasso in suo possesso per mantenersi, morirà a Parigi da sola, diventando la terza vittima della maledizione.

Picasso e Françoise Gilot

Françoise Gilot è nata il 26 novembre 1921, figlia di un agronomo e di un’acquarellista. A 5 anni aveva già deciso che sarebbe diventata un’artista. Si faceva dare lezioni di acquarello dalla mamma e poi continuò a studiare con un’insegnante professionista. Il padre aveva idee diverse sul suo destino, per cui la mandò a studiare Filosofia alla Sorbona e le fece prendere una laurea in Lingua e letteratura inglese a Cambridge. Lei dipingeva opere che andranno distrutte durante i bombardamenti, e dopo una protesta studentesca a Parigi fu inserita dai nazisti in una lista nera di soggetti che non potevano lasciare la città. Il padre dovrà pagare per farla cancellare dalla lista, ma lei dovrà lasciare gli studi e mettersi a fare la segretaria. Picasso la incontrò nel 1943, quando si ritrovano vicini di tavolo in un ristorante. Il pittore aveva 62 anni, era impegnato in una relazione con Dora Maar, ma non aveva nessuna intenzione di tirare i remi in barca, sentimentalmente parlando. Attaccò bottone con lei e con la sua amica Genevieve offrendo loro una scodella di ciliegie. Le due ragazze, per ringraziare, lo invitarono a uno spettacolo che avevano appena messo in scena. Con grande stupore di entrambe, lui si presentò davvero. L’amicizia col famoso pittore incoraggiò la ragazza a rispolverare le aspirazioni artistiche, e ad allontanarsi dal padre che non era d’accordo. Nel 1946, fra la giovane e il maturo artista era ormai in corso una relazione stabile. Vivevano insieme e lei darà alla luce Claude nel 1947 e Paloma nel 1949. Forse perché ormai non era più un ragazzino, Picasso rimase con lei e si dedicò ai loro due bambini. Il caratteraccio è sempre quello, ma Françoise Gilot rimarrà con lui per ben dieci anni. Poi, non più intenzionata a sopportarlo (la cognata raffigurata come una capra incinta era sua sorella), lo piantò in asso nel 1953. Lei si sposerà nel 1955 con un altro artista, Luc Simon, con cui avrà un’altra figlia, Aurelia, per poi divorziare nel 1961. Si risposerà di nuovo nel 1970 con Jonas Salk, lo scopritore del vaccino antipolio. Un matrimonio perfetto fino alla scomparsa di lui, nel 1995. La sua vita è stata costellata dai continui tentativi di Picasso di riconquistarla, a volte raccomandandola senza che lei lo chiedesse e convincendo i galleristi a farla esporre. Tutto questo nonostante Picasso si fosse trovato un’altra compagna, Jacqueline Roque. Lei ha 26 anni, è orfana, divorziata e non è un’artista ma una ceramista. Lui, di anni ne ha 72 ed è ormai così famoso che può avere tutto anche se è anziano. La conquistò disegnando sul muro della sua casa una colomba con i gessetti (facendone impennare immediatamente il valore immobiliare) e mandandole una rosa al giorno. Sei mesi dopo, lei accettò di uscire insieme. Si sposeranno nel 1961 a Vallauris e negli 11 anni del loro matrimonio lui le dedicherà 400 ritratti, fino alla sua morte l'8 aprile 1973, dopo di che la lascerà a duellare in tribunale per l'eredità contro Françoise Gilot, l’unica donna che era riuscita a spezzargli il cuore, vendicando le tre sfortunate innamorate che l’avevano preceduta.

Dopo questa breve descrizione della vita sentimentale e sessuale di Picasso, verrebbe da chiedersi: Era un genio o un vecchio satiro? Un genio o un maiale misogino? Domande oziose, uno sterile esercizio della mente. È del tutto riduttivo cercare di definire Pablo Picasso utilizzando caratteristiche umane stereotipate. Picasso è tante anime, una inestricabilmente legata all’altra. A tal punto legate da rendere impossibile dire dove finisca una e inizi l’altra. È lui il Fauno sofferente di un quadro che lo rappresenta dilaniato tra un amore passato, uno presente e uno futuro, ma allo stesso tempo è sempre lui il Minotauro o il fauno animalesco capace di atti terribili e gesti dolcissimi, ed infine è lui l’artista che guarda una scultura abbracciato alla propria amante.

Nel suo lungo, sublime percorso artistico, dal periodo blu a quello rosa, dal surrealismo al cubismo, Pablo Picasso ha consegnato alla storia opere uniche, a discapito delle persone, delle donne, che gli sono state vicine, spesso distrutte dal suo egocentrismo feroce. Picasso amava sé stesso, e la sua arte, attraverso le donne, le mogli e le amanti. Molte delle sue opere sono una celebrazione della passione fisica: pura e semplice, sporca e complessa.

Anzi, possiamo dire che l’intera opera di Picasso denota una forte carica erotica, perché tutta la sua carriera fu ispirata da un inestinguibile impulso sessuale.

Come abbiano detto, diverse furono le anime di Pablo Picasso, ma tutte accomunate da un’ossessione per l’erotismo; in particolare era attratto dalla figura della prostituta, sulla quale iniziò presto a focalizzare i suoi interessi. Mogli, amanti, e donne di piacere divennero costante fonte di ispirazione per le sue opere, come si può capire ammirando ad esempio L’Etreinte, Nudo Disteso, Artista e Modella, ma soprattutto Les Damoiselles d’Avignon. Questo bellissimo olio su tela realizzato da Picasso nel 1907 ed oggi custodito presso il MoMa di New York,è considerato in pratica l’icona del cubismo, l’opera che segna il definitivo distacco dall’impressionismo e l’inizio di una nuova ‘epoca artistica’. La pittura cubista si esprime con figure distorte, asimmetriche, senza prospettiva e molto ‘spigolose’, tutti elementi perfettamente visibili in Les Demoiselles d’Avignòn.

Picasso scelse come soggetto per molte delle sue opere le prostitute in quanto le considerava la massima espressione delle contraddizioni della società di allora, e non si può dire che non abbia in qualche modo risentito anche dell’influenza di un altro grande pittore spagnolo vissuto prima di lui, Diego Velasquez. Les Demoiselles d’Avignòn hanno occhi spenti, espressioni fredde e vuote, lineamenti spigolosi e privi di ogni prospettiva, note caratteristiche di chi fa la prostituta e non lascia trasparire sentimento alcuno. Ed è questa la visione che il pittore di Malaga aveva delle ‘lavoratrici del sesso’, donne che egli stesso reputava fondamentali per la crescita della società.

E anche se riconducono per certi versi ad altri capolavori antecedenti come La Maja desnuda o anche Olympia, risultano in questo caso essere allo stesso tempo affascinanti, ma anche piene di mistero. Picasso aveva un debole verso le donne tutte, ma le prostitute erano per lui più vicine a Dio di quanto non lo fossero le altre donne, in quanto più bisognose di affetto e misericordia.

Ecco allora che l’esplorazione dell’intera opera di Pablo Picasso ci consegna un’artista egocentrico, distruttore di mogli e amanti, un Picasso erotico e diabolico seduttore, a volte crudele. La sua arte e la sua vita intima, legate con tale profondità, che una non può esistere senza l’altra. Attraverso la sua arte Picasso ama e si unisce in un amplesso trasfigurato alle donne della sua vita, mogli, amanti e prostitute; attraverso gli amplessi, questi sì reali, con le sue donne, Picasso ama la sua arte. E, probabilmente, più questa che quelle.

Il curatore di una delle innumerevoli mostre delle opere di Picasso, e precisamente l’esposizione del 2001 al Museè du Jeu de Paume di Parigi, tale Reigner, ha affermato: “non dobbiamo dimenticare in fondo che una forte carica erotica, se non addirittura una vena pornografica, è tipica dell’arte e della letteratura spagnola e Picasso appartiene a tale tradizione”.

Del resto, lo stesso Picasso ha detto: “l’arte non è casta […] se lo fosse non sarebbe arte”.

Un’affermazione che suona auto-assolutoria, anche se non sappiamo di quale colpa. Scandagliando l’animo umano attraverso l’erotismo e il sesso rivelati attraverso il filtro della sua incredibile immaginazione, Picasso ha consegnato alla storia rappresentazioni grottesche che esorcizzano i timori e i tabù legati alla pratica o anche solo al pensiero o al desiderio di certe abitudini sessuali; ma anche una sorta di analisi del lato più oscuro della vita umana, delle sue paure e delle sue follie. Picasso opera dalla parte di una sorta di contronatura che genera mostri: il sesso senza forma fissa e senza dimensione determinata, senza proporzione.

Così il corpo si scompone e si contorce diventando irriconoscibile, e alla giusta misura e alla proporzione Picasso contrappone la fantasia della sua arte. Il ruolo di impresario del sesso assolto da Picasso che mette in scena esibizioni e spettacoli sessuali è in linea con tutto l’universo dell’artista ai tempi delle avventure giovanili: Le Demoiselles segnano indubbiamente il momento culminante di questo periodo, il più spettacolare, mentre il Minotauro incarna la virilità e la fertilità e il suo atto d’amore furioso. Il Minotauro, che porterà alla pazzia la sua amante Dora Maar; l’artista giunto alla prima maturità che esplora in chiave surrealista le radici della sessualità nella ritualità mitica; infine, l’ultimo Picasso, quello intento a spiare giovani nell’atto sessuale, probabilmente un’inclinazione legata all’età che avanza e alla forza declinante del suo “pennello”.

Ormai anziano, Picasso è divorato dalla stessa brama sessuale della sua gioventù, brama che soddisfa mettendosi non più dalla parte di attore, quanto piuttosto da quella di osservatore. E’ così che, celato dietro abiti ogni volta differenti, Picasso crea, alla soglia del suo ottantasettesimo compleanno, la celebre “Suite 347”, nella quale è possibile individuare un gruppo consecutivo di immagini (circa una ventina) dall’iconografia simile.

Il loro soggetto è sorprendente. Un giovane pittore in abiti rinascimentali, con berretto e capelli lunghi, sta ritraendo la sua modella nuda, ma interrompe il suo lavoro per baciarla e copulare con lei, tenendo ancora tra le mani il pennello e la tavolozza. Mentre sono avvinghiati nell’amplesso vengono spiati dagli occhi indiscreti di un terzo personaggio la cui identità muta nel corso della serie; inizialmente indossa abiti ecclesiastici, poi esotici ed eccentrici e in ultimo si trasforma in un uomo in abiti moderni. E’ lui, Pablo Picasso.

Nel 1968, l’anno in cui consegna al mondo la Suite 347, Picasso era sì anziano ma ancora pieno di vita e di voglia di creare, di fare arte. Con queste immagini, apparentemente pornografiche, egli esorcizzava la morte, in altre parole dimostrava ancora il pieno controllo della sua forza fisica (il pene) e della sua arte (il pennello).