NOMEN OMEN: IL PONTE DE LE TETTE
Passeggiando su internet ho trovato una cosa curiosa, particolare, divertente, ma anche istruttiva, che vorrei condividere con voi. A questo scopo, ho messo insieme un po' di materiale raccolto qua e là per comporre un articolo il più esauriente possibile, per coloro che avranno la voglia, la pazienza e – perché no? – la curiosità giuste.
Nel Sestiere di San Polo a Venezia, vi è un ponte dal nome davvero singolare: Ponte de le Tette. Si tratta di un piccolo ponte, che come gli altri 436 ponti, collega le 121 isole che formano Venezia. Questo ponte non ha nulla di particolare, anzi, rispetto ad altri ponti ben più grandi e importanti, passa inosservato alla maggior parte dei turisti che vi ci transitano. il ponte però, celebre per il suo nome pittoresco, si trova in quello che, ai tempi della Repubblica di Venezia, costituiva un vero e proprio quartiere a luci rosse, in cui abbondavano i bordelli.
Come dice il nome “Ponte delle Tette”, l’appellativo è abbastanza semplice da capire a cosa si riferisca. A Venezia infatti ogni calle, ogni campiello e ogni ponte porta un certo nome per un motivo ben preciso. Basti pensare a Calle del Frutarol (fruttivendolo), oppure Campiello del Remer (fabbricante di remi).
A questo punto è abbastanza facile dedurre il perché questo ponte fu chiamato “delle Tette”: qui alle “prostitute” era permesso mostrare i seni, ovvero esporre “la mercanzia”, ai passanti. Ma non solo era permesso, ma incentivato dal governo.
Ora vi raccontiamo la storia, era il 1319 quando a Venezia morì l’ultimo discendente della ricca famiglia dei Rampani, i cui beni mobili e immobili, essendo egli privo di eredi e di testamento, passarono di proprietà alla Serenissima.
Parte di questi beni consisteva proprio in alcuni edifici a San Cassiano, che nel 1421 il Governo, esasperato dal grande numero di prostitute che affollavano la città a ogni ora del giorno e della notte, adibì a case chiuse.
Una di queste case di tolleranza si trovava proprio sopra al ponte de le Tette e pare che l’usanza di allettare i passanti mettendo in mostra i seni scoperti fosse una vera e propria imposizione del governo alle meretrici al fine di “distogliere con siffatto incentivo gli uomini dal peccare contro natura”.
Ebbene sì: la Serenissima incoraggiava l’esibizionismo delle prostitute per combattere l’omosessualità alquanto diffusa a Venezia tra il XV e il XVI secolo, fino a diventare un problema di stato. Le influenze di sodomia conseguenti al sempre crescente arrivo di mercanti proveniente dal Medio Oriente, al vivace miscuglio di popoli e, con essi, delle rispettive abitudini culturali, provocò una sorta di campagna della Repubblica mirata alla conservazione degli usi e costumi propri di una cultura eterosessuale.
Il mestiere più antico del mondo era, quindi, non solo tollerato, ma quasi, addirittura, favorito.
Il governo, inoltre, non mancò di regolamentare con rigide leggi il comportamento quotidiano delle signore: potevano uscire di casa, ma non allontanarsi dai confini del sestiere di lavoro, e alla terza campana della sera avevano l’obbligo di tornare ai loro alloggi, pena dieci frustate. Erano, inoltre, vietati loro l’abbordaggio di clienti nei periodi sacri del Natale, della Quaresima e della Pasqua (pena quindici frustate) e la frequentazione delle osterie, e potevano recarsi in centro città solo di sabato e indossando un vistoso fazzoletto giallo al collo come segno di riconoscimento. Il divieto assoluto di uscire dalle case chiuse vigeva, poi, per la giornata di domenica.
“Carampana” oggi significa solo “donna vecchia e allampanata”(cfr De Mauro Paravia), caratteristica fisica quest’ultima che risale proprio a quel periodo e che pochi conoscono.
Infatti allora le prostitute, oltre ad esibire parrucche di quell’improbabile colore detto “rosso veneziano”, indossavano pure i calcagnini (o chopine), caratteristici zoccoli con la zeppa alta “un piede”, che le rendeva mezzo metro più alte delle altre donne.
Nel Settecento, secolo particolarmente disinibito moralmente, grazie a nuove leggi che volevano incrementare il turismo nella città, le prostitute giovani e belle poterono tornare indisturbate ad esercitare nel cuore di Venezia mentre a Ca’ Rampani rimasero solo le più anziane, che lì vivevano relegate come in ospizio continuando – se potevano – il loro antico mestiere a modicissimi prezzi imposti dal Governo, però con l’assoluta proibizione di mettere il naso per strada perché sgradevoli alla vista.
Pensate che secondo un censimento del 1509 in città vi erano più di 11.000 cortigiane, su di una popolazione di 170.000 abitanti. Questo perché la Venezia di un tempo era cuore pulsante di una fiorente attività commerciale. Ma era anche un centro di passaggio per commercianti, pellegrini, persone in movimento, stranieri di ogni sorta.
Molti erano quelli che arrivavano in laguna grazie all’elevato numero di preziose reliquie. Molti altri sono arrivati sulla scia delle rotte orientali per la vendita di beni di lusso. Il fenomeno della prostituzione, quindi, fiorì in questo ambiente puramente maschile.
Il quartiere delle cortigiane
La Repubblica di Venezia riconosceva due diversi tipi di cortigiane: la cortigiana onesta, ossia la cortigiana intellettuale, e la cortigiana di lume, una cortigiana dei ceti bassi (più simile alle moderne prostitute). Queste cortigiane di “basso borgo” venivano obbligate ad abitare in un quartiere vicino a Rialto chiamato “il Castelletto” e un po’ più in là alle “Carampane”.
Come già detto alla sera, dopo la terza campana, dovevano rientrare a casa pena una multa e 10 frustate. Come pure 15 frustate era la pena per avvicinare uomini nel periodo di Natale, della Pasqua e altri giorni sacri. Non potevano frequentare le osterie e potevano girare per Venezia solo di sabato. In ogni casa c’era la “matrona”, la direttrice che teneva la contabilità e pagava le tasse.
Oltre che al “Castelletto” le meretrici avevano dimora anche dalle parti di San Cassiano ed esattamente nelle case di proprietà della nobile e antica famiglia Trapani. Da Cà Rampani il termine “vecchia carampana” per dire vecchia prostituta. La zona delle Carampane arrivava fino al ponte de le Tette.
Ogni venerdì si riuniva il collegio dei deputati ad inquisire i sodomiti.
I medici e i barbieri, chiamati a curare qualche uomo o anche qualche donna, avevano tre giorni di tempo per denunciare all’amministrazione le loro “confidenze amorose”. Gli omosessuali venivano impiccati nelle due colonne della piazzetta di S. Marco e poi bruciati. Una terribile pratica omofoba, che per fortuna è rimasta ancorata al passato di stupidità religiose senza senso.
Corte de Ca’ Bollani
Proprio di fronte al ponte de le tette si trova questa bella e caratteristica Corte de Ca’ Bollani ovviamente anch’esso luogo di prostituzione. Essendo proprio attaccata al ponte, questa corte e le sue abitazioni erano un punto strategico per le prostitute e la loro professione. Dalle finestre potevano mettere liberamente in mostra i loro seni, e non solo. Esiste anche una storia o leggenda, non è dato da sapersi, che vedeva coinvolto un “menestrello”.
Si racconta che nel 400 a palazzo Ca’ Bollani abitasse una coppia, e di frequente sotto le loro finestre cantasse serenate un menestrello. Il marito, arrabbiatissimo, rimproverava la moglie accusandola di essere una svergognata. La cosa continuava ripetutamente. Il giovanotto inviava doni e, mentre passeggiavano, faceva grandi inchini ed ammiccamenti.
Un giorno il marito si decise ad affrontare il giovane innamorato minacciandolo se non avesse lasciato in pace la moglie. Ma il giovane, guardandolo intensamente, gli dichiarò che l’oggetto del suo interesse non era la moglie, bensì lui: il marito.
Ora la storia finisce qui, non è dato da sapersi se il marito si sia rivolto al Collegio dei deputati sopra citato, ma speriamo proprio di no. Povero menestrello, le sue note risuonavano amore in un luogo dove d’amore ve ne era ben poco, mentre abbondava ben altro.
La cortigiana più famosa di Venezia
Una delle cortigiane veneziane più famose ed ammirate fu senza dubbio Veronica Franco. La donna, nata a Venezia nel 1546 da una famiglia borghese, era nota per la sua bellezza e la sua cultura. Deve la sua grande popolarità anche alla sua cultura e soprattutto per i versi che seppe scrivere, raccolti in svariati volumi.
Fu amata da alcune delle personalità più influenti del tempo tra cui si enumera anche il Re Enrico III di Francia. Ma non è il novero dei suoi amanti a renderla importante nella nobiltà dell’epoca, quanto piuttosto il suo essere stata un’eroina del suo tempo.
Veronica Franco seppe proporre un’ideale diverso di donna e di femminilità, che difese per tutta la vita. Citando le parole di un suo scritto.
« Se siamo armate e addestrate siamo in grado di convincere gli uomini che anche noi abbiamo mani, piedi e un cuore come il loro. Anche se siamo delicate e tenere, ci sono uomini delicati che possono essere anche forti e uomini volgari e violenti che sono dei codardi. Le donne non hanno ancora capito che dovrebbero comportarsi così, in questo modo riuscirebbero a combattere fino alla morte. Per dimostrare che ciò è vero, sarò la prima ad agire, ergendomi a modello.»
Comunque nella storia della Repubblica Veneziana Veronica Franco viene citata e ricordata più per le sue opere, che no per le sue “arti”. Difatti come potrete trovare in scritti informativi, essa viene citata come “poetessa italiana” nata e vissuta a Venezia, e morta precocemente all’età di 45 anni.
Veronica Franco