IL SESSO NON VUOLE PENSIERI. UN’ANALISI SERIA SUL PERCHE’ UN PELO DI FICA NON TIRA PIU’.

IL SESSO NON VUOLE PENSIERI. UN’ANALISI SERIA SUL PERCHE’ UN PELO DI FICA NON TIRA PIU’.

Il tema che vi proponiamo in questo articolo è molto serio, in modo preoccupante. Perché se è legittimo che una vecchia cariatide quale io sono possa rinfoderare il pugnale per dedicarsi ad attività solitarie, è molto meno legittimo che a ritrarsi dinanzi al sesso siano le nuove generazioni. Quelle da cui ci si aspetta un rinnovamento per la nostra miserevole umanità.

Pur considerandomi ormai un maestro del sesso solitario, non mi azzardo a metter becco in un argomento che ha davvero mille implicazioni, per cui mi limiterò a queste poche righe di ingresso.

Già il signor Tino si era trovato a dover rispondere sullo stesso argomento. Vogliamo offrirvi, dopo quello del nostro esimio redattore, anche quello di un celebre psicoanalista di provata fama mondiale che ha sviluppato il suo pensiero in modo molto più esteso e che lo ha messo nero su bianco in un saggio:

“Il declino del desiderio. Perché il mondo sta rinunciando al sesso” (Einaudi, ottobre 2022), di Luigi Zoja.

Segnaliamo 4 diversi articoli che riportano interviste fatte allo stesso Zoja e altri commenti.

Cominciamo da questa intervista, tratta da www.letture.org ecco qui:

Dott. Luigi Zoja, Lei è autore del libro Il declino del desiderio. Perché il mondo sta rinunciando al sesso, edito da Einaudi: che ruolo ha assunto la sessualità nella nostra epoca?

La sessualità resta fra i nostri modi di essere più personali. Due gemelli all’esterno identici, non hanno pensieri identici. Ma non avranno mai neppure sessualità identiche, uno può essere eterosessuale, l’altro omosessuale. Detto questo, va notato che oggi la sessualità è passata sotto un rullo compressore di inaudita violenza: il consumismo competitivo. Così, esprime sempre meno l’individualità e sempre più un tentativo di esibirsi, di raggiungere uno status. Questa competizione è anche un ritorno alla lotta fra maschi del sesso animale, quindi inconsciamente pre-civile: immerso, però, nel mondo di internet. Una ricetta che conduce al disastro attuale: malgrado il sesso incontri pochissimi divieti e la contraccezione sia ampiamente disponibile, genera ansia e lo si pratica sempre meno. Il primo rapporto avviene sempre più tardi, e quelli ordinari diventano sempre meno frequenti. Naturalmente tali dati riguardano la popolazione eterosessuale, non le “minoranze sessuali”: che, essendo state riconosciute solo di recente, stanno ancora vivendo la “rivoluzione sessuale”, che la maggioranza ha attraversato negli anni ’60 e ’70: in questa fase liberatoria, tendono ancora a intensificare la loro vita erotica. Va notato comunque che, nel paese che dispone dei dati più completi ed esatti, la Gran Bretagna, l’insieme degli omosessuali resta molto basso, intorno all’1%.

Insomma, il declino della sessualità nel mondo sviluppato (grave e senza precedenti, destinato a estendersi al resto del pianeta man mano che si sviluppa) non è certo legato a ostacoli materiali o legali, ma a un declino culturale e a difficoltà psicologiche. Questa situazione reale è ben poco conosciuta. E rappresenta proprio il contrario di quanto molti populisti denunciano allarmati. La sessualità non si amplia disordinatamente, al contrario decresce in modo netto. Le nuove generazioni la praticano meno delle precedenti: ed esprimono chiare preferenze per la fedeltà all’interno della coppia.

Se non intervenissero fattori esterni schiaccianti come il consumismo, non solo ogni sessualità resterebbe unica, ma si potrebbe riconoscere che ogni atto sessuale della stessa persona è unico. Ogni orgasmo di un soggetto non solo differisce da quelli di un altro, ma anche dagli altri di cui lui/lei fa esperienza: facilmente si accompagna a immagini, a fantasie, che variano nel tempo.

Nella deformazione consumistica post-moderna, invece, quando un certo tipo di maschio si porta in giro un certo tipo di donna per impressionare gli amici la tratta, direbbe Kant, come un mezzo e non come un fine. Va notato che in questi casi la sua priorità è sedurre gli amici che lo guardano mentre esibisce la compagna: insomma, ci tiene a passar per seduttore di femmine, eppure inconsciamente si comporta da omosessuale.

Nel libro Lei sostiene che di fronte alle aperture totali, come è quella verso la sessualità, l’uomo possa ritirarsi: quali dinamiche caratterizzano l’approccio contemporaneo verso la sessualità?
Inizierei precisando. Non è solo qualcosa che io sostengo, cioè una mia opinione. Si tratta di fatti segnalati da tutti gli studi nazionali sulla sessualità, tenuti nei principali paesi sviluppati. Non c’è stato nessun passaparola, nessuno si è messo d’accordo per rinunciare a questo importantissimo aspetto della vita, nessuna autorità prepotente ha tolto le libertà promosse dalle scoperte di Freud e portate avanti nella seconda metà del Novecento dalla cosiddetta Liberazione Sessuale. Ma, in media, questa è la netta tendenza in tre continenti, Europa, Nord America e Asia Orientale (Giappone, Corea e, tutto fa presumere, la parte sviluppata della Cina). Sorprendente non è solo il fatto in sé: è anche quanto il pubblico fatichi a prenderne atto. Si immagina che si tratti di casi particolari, non di centinaia di milioni o forse miliardi di persone. Faccio un esempio. Il principale supplemento culturale italiano – la Domenica del Sole 24 Ore – mi ha chiesto un pezzo di anticipazione del libro. Come sappiamo, i titoli degli articoli sono decisi dal giornale al momento della pubblicazione. Il mio è stato intitolato Quando la sessualità si declina in solitudine. Insomma, malgrado l’ottimo livello del Sole, come in un lapsus, la pubblicazione ha espresso una parte dell’incredulità diffusa rispetto al tema. Nel libro, e nell’articolo, ho mostrato che la sessualità non va calando in certi casi (“quando”) ma in ogni paese, fra i giovani e fra le persone di mezza età, tra i poveri e tra i ricchi.

La spiegazione di un fenomeno così generale è impossibile con le classiche analisi quantitative: il mondo intero sarebbe un oggetto d’indagine troppo complesso. Si deve dunque esaminare la cultura, la condizione umana e fare qualche ipotesi su entità non misurabili. Dal punto di vista della filosofia politica si può pensare alla idea di “società aperta” di Popper, e chiedersi se l’eclissi dell’eros possa esser vista come risultato di una “apertura eccessiva alla libertà”. Sappiamo che l’uomo cerca la libertà, ma fino a un certo punto, oltre il quale si comporta come gli animali che hanno vissuto in gabbia ed esitano quando si apre loro la porta. Tutti desiderano continuar a salire verso una condizione che si immagina migliore, sempre più elevata: e nel miglioramento includono sempre più libertà in ogni campo. Ma chi arriva molto in alto, può esser preso da paura quando si accorge che ormai un abisso lo separa dal punto di partenza.

Sempre nel libro Lei riflette sul concetto di libertà positiva: «I veri criteri che definiscono la libertà sono psicologici. […] Chi dispone di garanzie costituzionali, ma ha introiettato dall’educazione famigliare restrizioni alla libertà di scelta, o ansia di castighi […] non è una persona libera»: quali problemi di «libertà positiva» pongono i costumi del XXI secolo?
Riassumiamo. Nei paesi sviluppati la sessualità non ha praticamente più problemi di libertà negativa: è libera da costrizioni intolleranti. I problemi, però, restano a proposito della libertà di scegliere una cosa o un’altra, la libertà positiva: alludevamo a questo con l’immagine dell’animale lasciato libero, ma che non esce dalla gabbia. La nostra principale gabbia sono i costumi, l’educazione ricevuta. La “cultura di fatto”, quello strato inespresso ma sempre presente che la mia disciplina chiama “inconscio collettivo”, è sostanzialmente conservatore: lo vediamo sia dalle elezioni politiche sia da come i principali comportamenti tendono a ripetersi, anche senza esser stati specificamente insegnati. Restando alla sessualità, i genitori che vedono i figli crescere si attendono che siano eterosessuali: il che corrisponde al fatto che, come vedevamo, l’omosessualità rappresenta una percentuale minima della sessualità attiva. Tuttavia, formalmente essa oggi gode di diritti ed accettazione quanto la eterosessualità.

Pensiamo ora a tutti gli adolescenti che raggiungono la maturità sessuale. L’opinione pubblica disinformata può immaginarsi che abbiano assai meno problemi di quelli degli anni ’70. Naturalmente mezzo secolo fa c’era qualche ostacolo in più alla soddisfazione sessuale: ma lo stesso Freud – le cui scoperte ruotano intorno all’idea che troppa censura faccia male all’istinto – diceva che la civiltà crea sempre una certa quantità di ostacoli per accrescere la soddisfazione una volta che la meta (sessuale) sia raggiunta. Però, fino a poco tempo fa, la maturità sessuale e di genere si raggiungeva per gradi, all’interno di contenitori come la famiglia, la scuola, magari la Chiesa. Malgrado censure spesso esagerate, i binari erano fissi e nella maggioranza dei casi accompagnavano lo sviluppo. Oggi, questo percorso precostituito è andato in frantumi. Modello di persona sessualmente matura non è più un genitore o qualche altro famigliare. Prototipo possono in parte essere i coetanei. Questo in sé non sarebbe così nuovo. La novità sta nel fatto che questi modelli influenzano l’adolescente non attraverso incontri reali, ma soprattutto telematicamente: gli appaiono sul computer e sullo smartphone. In particolare, è ovvio, lo influenzano gli “influencer”, che si atteggiano a persone accessibili, ma che il giovane sa benissimo essere ricchi, famosi, irraggiungibili: la “libertà positiva” di puntare a ogni meta si fa beffe di lui. Fonte di confusione ancor più diretta, nell’inizio della vita sessuale adolescente, sono le immagini pornografiche che popolano internet, letteralmente a miliardi. La quasi totalità dei maschi e una percentuale molto alta delle ragazze non riesce a far a meno di guardarle. In questi filmati artificiali, i maschi dispongono di una erezione permanente, mentre le femmine sono animali da consumo, totalmente sottomesse e consenzienti ad ogni genere di pratiche. È di fatto impensabile tradurre quegli esempi in comportamenti reali. Il giovane lo avverte e questo lo allontana dalla sessualità vissuta e non fantasticata. Siccome difficilmente può prendersela con proibizioni o censure, rinvia l’età d’inizio delle pratiche sessuali raccontandosi che prima “deve decidere se è etero- od omosessuale”, tanto questo dilemma lascia il tempo che trova: a scuola, per esempio, ragazzi e – soprattutto – ragazze gay non prevedono di incontrare grandi ostacoli. Il problema, però, non sta nell’incontrare pregiudizi, ma nel basare un passaggio tanto delicato sull’autoinganno. Il dubbio, piuttosto artificiale, non serve tanto a compiere più accuratamente una scelta di “libertà positiva”, quanto a rinviare l’incontro con la sessualità, che i superficiali modelli consumistici – o addirittura quelli pornografici – rendono temibile.

Nei binari precostituiti che hanno retto quasi fino a ieri, la identità di genere era, come ricordavamo, piuttosto scontata. Oggi, una libertà nominale sbandierata rende contemporaneamente accettabili la eterosessualità, la omosessualità, la bisessualità, la transessualità, la asessualità e altre opzioni ancora, il cui elenco è in costante aggiornamento. Se l’asino di Buridano moriva di fame perché non riusciva a decidersi tra due mucchi di fieno ugualmente appetitosi, il liceale di oggi soffre di “iper-Buridano”. Così, rinvia all’infinito il confronto con la vita erotica: non del tutto infondatamente, visto che per i giovani come lui la sessualità è un incontro non con un corpo che lo attrae, ma con astratte categorie di distinzione mentale o con immagini porno spesso ancor più astratte, a volte praticamente impossibili da realizzare per la normale anatomia. Chi glielo fa fare?

Fra le giovani generazioni dei principali Paesi del mondo è stato paradossalmente registrato un calo dei rapporti erotici tradizionali: a cosa è dovuto il fenomeno del “ritiro sessuale”?
Se il lettore mi ha seguito, spero a questo punto che sia d’accordo con me: cercare “la causa” di un fenomeno psicoculturale che attanaglia in sostanza tutto il mondo sarebbe irrealistico e onnipotente. Naturalmente non è una scusa buona per trascurarlo. È ovvio, per esempio, che chi si preoccupa per la natalità troppo bassa dovrebbe fare uno sforzo per affrontare il problema della sessualità: salvo una minoranza quasi trascurabile, i bambini nascono ancora dai rapporti intimi della tradizione. Fra l’altro, proprio i politici preoccupati per il calo demografico sono quasi sempre anche sostenitori della famiglia classica e diffidenti verso le gravidanze artificiali o comunque non tradizionali.

Invece, quasi nessuno si preoccupa di questo declino. Ci si occupa di ciò che “fa PIL”. Finché liberare la sessualità comportava liberare settori economici nuovi e meno puritani nella produzione cinematografica, televisiva o nella moda, grandi dibattiti pubblici spingevano in quelle direzioni. Ma, di per sé, da solo, fare all’amore non fa PIL. Questa è la situazione di oggi.

È ovvio che su tale tema importantissimo andrebbero non solo tenuti dibattiti, ma dovrebbero essere all’opera commissioni di studio, tanto in istituzioni private quanto pubbliche. È anche ovvio, (malgrado in questo spazio limitato non si possa affrontarne le infinite implicazioni di costume, di psicologia, di legge) che siamo di fronte a un caso macroscopico e universale di quello che è stato chiamato il “paradosso della scelta”. Aumentando le opzioni, di solito scegliere diventa più facile: ma solo fino a un certo punto, superato il quale invece di veder crescere le possibilità cresce la confusione.

Da un’altra prospettiva, siamo anche entrati in un campo che possiamo chiamare “psicologia del limite”. Me ne sono occupato fin dal secolo scorso (si veda Storia dell’arroganza. Psicologia e limiti dello sviluppo, Moretti & Vitali). Sia l’esaurimento delle risorse, sia l’ipersfruttamento del pianeta che stanno avendo drammatiche conseguenze climatiche non sono solo problemi tecnici: economici, industriali, metereologici. Sono prima di tutto problemi psicologici. È la psiche umana che vuole sempre di più. Ovviamente, entro un certo limite la motorizzazione ha aiutato gli uomini a spostarsi liberamente: ma, passato quel punto, ha cominciato a causare ingorghi stradali e a rallentare il traffico invece di velocizzarlo. Il problema sta nel numero eccessivo di persone che hanno desiderato avere l’auto, poi una seconda auto e così via. Di per sé, la psiche “sa” per conoscenza naturale che ogni cosa deve avere un limite. Il consumismo, invece, ci induce a pensare che, volendo di più, saremo più felici. Effettivamente, molti ottengono una piccola dose di felicità mangiando una tavoletta di cioccolato. Ma questo non significa affatto che chi ne mangia due, tre, raggiunga il doppio o il triplo di quella felicità. Anche se la pubblicità cerca di farcelo dimenticare, di deformare il nostro istinto, chi mangia dieci tavolette sta male e basta.

Quali prospettive, a Suo avviso, per il desiderio?
Anche qui, spero di aver accompagnato già il lettore verso una risposta. Che non sarà mai definitiva né mai consisterà in un comandamento generale: importante per l’equilibrio psichico è che ognuno – nel rispetto della società e delle regole generali – compia la propria scelta, trovi la propria strada e la propria dose. Evitar di fare i profeti dovrebbe essere il punto di partenza delle persone ragionevoli. Siamo giunti impreparati a questo serio declino, anche perché, quando qualcosa esiste, tendiamo a dare per scontato che continuerà ad esistere. Fra i “liberatori” della sessualità della seconda metà novecento, molti erano intellettuali di grande autorevolezza, che hanno però commesso un errore: hanno dato per scontato che quella liberazione sarebbe continuata. Praticamente nessuno ha previsto che si sarebbe invertita, come i fatti ora mostrano.

La parola desiderio è un concetto molto delicato, che va usato con prudenza. È anche piuttosto vasta, e ognuno rischia di impiegarla a modo suo, facendone un uso un po’ diverso da altri. Comunque, nel dibattito che affrontiamo, può riferirsi all’impulso sessuale: anzi, all’impulso erotico, termine che include meglio, oltre a quella fisica, anche la parte psicologica della pulsione. Il destino di questo desiderio, oggi un poco ammaccato, potrà risollevarsi se sapremo tenere ben distinto il vero bisogno personale da quella spinta artificiale e deludente che chiamiamo “consumo”. In fondo, è una reazione che in modo inconscio tende a re-includere il corpo: dove l’istinto, sottoposto a un eccesso, si difende con la nausea.

Proseguiamo poi con questo articolo pubblicato dal quotidiano La Repubblica il 31 ottobre 2022

Lo psicoanalista Luigi Zoja: "Incerti e ansiosi. Ecco perché il sesso ora non ci piace più"

Di scuola junghiana e con un'esperienza internazionale, nel suo nuovo saggio analizza il fenomeno del calo del desiderio: “Tra le cause il ritiro dal mondo e l’eccesso di offerta online”

Uno dei paradossi dei nostri tempi è che di sesso si parla in continuazione ma si fa meno di quanto s'immagini. Non è un'illazione, ci sono dati e ricerche che fotografano la sessualità stanca dell'Occidente. Luigi Zoja è uno psicoanalista dallo sguardo largo che non si accontenta di sondare le patologie individuali ma indaga la società. Da junghiano cosmopolita, con un'esperienza all'Istituto Jung di Zurigo e negli Stati Uniti, ha scritto Il declino del desiderio (Einaudi Stile libero) per raccontare uno dei fenomeni più interessanti e incredibili del nuovo millennio. Un'epoca tanto libera quanto impaurita.


Sono solo i giovani ad essere affetti da questa "sindrome del ritiro"?
"È la società in generale ma nei ragazzi è più evidente. Iniziano a fare sesso sempre più tardi e tra loro si registra un forte ritorno alla masturbazione. Anni fa sembrava che questa psicastenia, una stanchezza dell'anima che si riflette sul corpo, riguardasse prevalentemente l'Oriente, ma è chiaro ormai che il fenomeno degli hikikomori, i ragazzi giapponesi che si isolano dalla vita sociale, si è affermato su scala planetaria".

Dove ci siamo incagliati, che cosa è successo?
"Scontiamo il "disincanto del mondo", per usare la formula di Max Weber. Quando tutto si riduce a fenomeno meccanico finisce che si perde interesse. Cresce il numero dei ragazzi che odiano il proprio corpo e non riescono a vivere in modo rilassato una vita sessuale che cerchi di recuperare il concetto antico di eros e vada al di là della mera idraulica".

Un tempo Eros si scriveva con la maiuscola, era un Dio.
"Il passaggio alla minuscola è stato inevitabile, fa parte del processo di laicizzazione della modernità. Indietro non si torna ma probabilmente potremmo provare a recuperare rispetto per la relazione e l'amore in sé. Cosa che Tinder non permette".

Sta suggerendo di risacralizzare il sesso?
"Gli smartphone o strumenti come le app di incontri creano esperienze più mentali che fisiche, più astratte che concrete, che lasciano insoddisfatti. Incontri che non si traducono in avventure erotiche ma rimangono virtuali e fanno solo perdere un sacco di tempo. Non si guarda davvero all'altro ma a quanto la sua immagine sia "postabile", a quanto ci faccia fare bella figura. Questo è un travisamento dell'eros, la cui attivazione è un fenomeno interiore personale e non qualcosa di esterno, da mostrare. Il problema è che i modelli si cercano ormai su Internet e che devono passare al vaglio dello sguardo della community della Rete".

Crede anche lei, come Bauman, che scontiamo un consumismo esasperato?
"Come scrivo nel libro siamo vittime della sindrome dell'iper-Buridano. Allo stesso modo dell'asino che non sapeva quale fieno scegliere, se il mucchio alla sua destra o quello alla sua sinistra, entrambi ugualmente appetibili, ci blocchiamo di fronte a troppa offerta. Oltre una certa soglia subentra la nausea. Robin Dunbar, neuroscienziato e paleoantropologo dell'università di Oxford, ha stabilito una soglia di contatti oltre la quale perdiamo la relazione personale. Per Dunbar sono intorno ai 150. Se è vero questo, le migliaia di "amici" che abbiamo su Facebook sono un fake. Viviamo dentro bolle prive di emozioni reali".

Quanto la sessualità è condizionata da Internet?
"Indebolito il ruolo dei modelli tradizionali, tra cui la famiglia e la scuola, sono i film pornografici o gli influencer i nuovi punti di riferimento, anche per quanto riguarda la sessualità. È evidente che si tratta di parametri non imitabili che generano solo frustrazione. I video porno, in cui il maschio ha l'erezione permanente e la donna è sottomessa e disponibile, sono parte del maschilismo di ritorno dei nostri anni".

Il fenomeno riguarda solo la sfera sessuale o anche quella sociale e politica?
"Il neopopulismo stile Trump, Bolsonaro, Putin si sovrappone a questo maschilismo piuttosto rozzo. Il crollo delle sinistre si può leggere anche da questa ottica. Sarebbe interessante capire quanto abbia indebolito il gradimento della sinistra agli occhi del popolo la difesa dei marginali, dei trans, degli omosessuali. È chiaro che si tratta di attacchi pretestuosi e che la società non è certo minacciata da minoranze che rimangono tutt'oggi percentualmente insignificanti, ma sta vincendo la personificazione del nemico. Il bisogno del "malvagio" da additare. C'è poi un altro elemento da valutare. La gente si chiede perché continuare a parlare di quell'1% e non di problemi più gravi come la disoccupazione".

E lei personalmente come la vede?
"La libertà di qualsiasi minoranza è una grande conquista, ma l'indebolimento dell'identità di genere sta creando un certo disorientamento. Tra l'altro a un'incertezza psicologica diffusa si sta affiancando un'incertezza a livello ormonale, endocrinologico. Stando a una recente ricerca, il numero degli spermatozoi nel liquido seminale maschile nell'ultimo mezzo secolo si è dimezzato".

La fluidità sessuale non è una ventata di libertà, una spallata ai vecchi schemi patriarcali e maschilisti?
"Il problema è che tutto sta avvenendo troppo rapidamente e i ragazzi ne ricavano una sensazione d'insicurezza. La femminista Alice Schwartz si è scagliata in modo netto in una trasmissione tv contro la nuova legge svizzera che affida la definizione del sesso a soggetti anche minorenni senza bisogno di certificazione medica e abbassando l'età minima per la scelta a 14 anni. Non è un caso che accanto alle transizioni da un sesso all'altro, siano aumentate le richieste di de-transizioni. Quando si sceglie troppo presto si rischia poi di pentirsi, ma tornare indietro è impossibile e cresce la confusione".

Non c'è il rischio che i reazionari cavalchino questi argomenti?
"Alle origini del nazismo e della crisi della Repubblica di Weimar c'è anche il rifiuto di una libertà percepita come eccessiva e decadente. Le chiusure morali di Putin e degli altri autocrati si alimentano demagogicamente di questi stati d'animo".

Proseguiamo con un’altra intervista a Zoja che parla dei giovani

Violenze tra i giovani, l’esperto: “Non fanno sesso”

Luigi Zoja, psicoanalista e sociologo, racconta in un’intervista esclusiva a Newsby cosa scatena la ferocia degli adolescenti, in particolar modo a Milano

Luigi Zoja psicoanalista e sociologo

Aprendo i quotidiani negli ultimi mesi non si può non notare come le violenze e le risse tra i giovani, soprattutto a Milano, siano in netto aumento. Ma come mai gli adolescenti tendono a essere così fuori controllo? È perché proprio nel capoluogo lombardo? Lo spiega molto bene Luigi Zoja, psicoanalista e sociologo, in un’intervista rilasciata a Newsby.

La sorpresa nell’assistere a Milano come luogo in cui vanno in scena le violenze e le risse tra i giovani

Professore, come mai assistiamo a così tanta violenza tra gli adolescenti?

«Uno dei motivi è abbastanza concreto: le forze dell’ordine sono esauste, hanno tanto da fare e riescono meno nei loro compiti tradizionali. Del resto leggevo proprio recentemente come il crimine sia aumentato negli ultimi 30 anni. E con la pandemia c’è stata una risalita».

Cosa caratterizza questa escalation di violenza, che scaturisce poi con gli scontri con le forze dell’ordine?

«Come tendenza di fondo, sul lungo periodo, c’è il cosiddetto ‘tribalismo’. La tendenza di una formazione di gruppi che seguono quello che è il ‘Lucignolo’ della situazione. Anche tra i minorenni. E questo si registrava già prima della pandemia. È una tendenza che va avanti da un paio di generazioni. Poi probabilmente, per i più giovani, c’è stata anche una maggiore difficoltà di controllo rispetto alle restrizioni dovute al Covid».

Quello che colpisce è che le violenze e le risse tra i giovani si registrino soprattutto a Milano.

«È la città degli aperitivi. E da quando i giovani possono di nuovo farli dopo il lockdown, c’è stato un effetto compensazione (o un’illusione) del rifarsi del tempo perso: preferiscono fare un aperitivo di più piuttosto che uno in meno. Diciamo che il tasso alcolico incide in questo senso».

Eppure Milano è sempre stata considerata un ‘gioiellino’ in materia di ordine pubblico. I fatti degli ultimi giorni smentiscono questa vulgata?

«In parte sì. Gli anni della pandemia hanno sorpreso molto: Roma, Napoli o Palermo hanno seguito certe volte con più disciplina le disposizioni sanitarie. L’identità di Milano cambia continuamente: non è stabile ed è difficile prevederla. È un po’ come New York. Lo sosteneva già il sociologo inglese John Foot nel libro “Milano dopo il miracolo”. La caratteristica del capoluogo lombardo è quella di essere un po’ più ‘avanti’ rispetto ad altre città, più europea: quindi è un ricettacolo di novità, ma anche in senso negativo. Quando ero giovane io era la sede della cultura: le case editrici erano tutte là. Poi sono arrivate la televisione commerciale, la pubblicità e la moda; molto più legate all’effimero e che esistono solo in funzione di continuare a inventarsi novità. Dalla stabilità all’effimero. Questa è la caratteristica di Milano».

I dati che giungono dagli Usa sono inequivocabili: c’è un crollo della sessualità

Si tratta quindi una questione generazionale?

«Tra i giovani, in generale, assistiamo a un elemento abbastanza inedito sia tra l’opinione pubblica sia anche tra gli psicoterapeuti: un crollo della sessualità. Una tendenza che va avanti dall’inizio del secolo, confermata da tutti i dati. Un’attività che spesso viene sostituita dai videogame di combattimenti, che riprendono slancio. Quindi sono in diminuzione i canali di attività o di sfogo più tradizionali. Quelli che compiono più trasgressioni sono prevalentemente maschi, con un po’ di ragazze che, nel branco, gli vanno dietro. Lo sfogo più tradizionale, quello erotico, è in diminuzione per un 20enne. Sono tutti troppo schizzati e non hanno un rapporto liscio e sereno con i propri istinti».

Ma è un trend che riguarda solo l’Italia?

«No. Lo si nota soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. È impressionante come tutti i dati lo confermino. Sarà il terzo decennio in cui va avanti questa tendenza. I dati veri e più netti arrivano dagli Usa: il Centers for Disease Control and Prevention in qualche modo si “rallegra” di tale fenomeno».

Perché?

«I ragazzi non s’incontrano più e si vedono solamente attraverso gli schermi. E quindi, un tipico problema delle classi più basse americane, delle minoranze di colore, ovvero le gravidanze indesiderate delle adolescenti (che certamente è una piaga sociale), è crollato. Perché questi si scambiano le foto di sé stessi nudi, ma in questo modo ovviamente non mettono a disposizione il proprio corpo come quello più diretto».

Quindi non si può ridurre la violenza esclusivamente alla pandemia?

«È tutto in subbuglio: magari recedono queste trasgressioni. Non mi meraviglio che questo fenomeno sia transitorio con il superamento della pandemia. Però è un fatto che, col secolo nuovo, l’età del primo rapporto sessuale scenda e la quantità tra i minorenni sia in diminuzione. Da un lato è confortante, perché non ci sono certi inconvenienti. Dall’altro, però, è indice di un disturbo dell’Io corporeo. E, di certo, non è perché che ci sono divieti che succede tutto questo».

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E infine una recensione del libro di Zoja scritta da Ciro Piccinini il 19 Novembre 2022

Sesso: se ne parla, se ne vede, ma se ne fa sempre meno

Un saggio dello psicoanalista di fama mondiale Luigi Zoja

Immagine: L’abbraccio di Egon Schiele in copertina del libro di Luigi Zoja

Uno spettro si aggira per l’Occidente laico ex gaudente: la rinuncia. E quindi: digiunanti e scioperati della carne di tutto il mondo unitevi, e copulate, altrimenti disperdetevi una volta per tutte, ognuno nel proprio smartphone o cameretta spoglia.

Questo spettro, un pendolo che (parafrasando Schopenhauer) oscilla tra l’accresciuta noia e la soccombente foia, si chiama Sex Recession. Galimberti, parlando del nichilismo, direbbe che manca lo scòpo (non fate battute né giochi di parole), cioè il senso, quindi il tèlos, qualcosa cui tendere e in cui credere.

Negli ultimi anni, tre grandi ricerche sulla sessualità dicono che in questi due decenni la vita sessuale (nei nostri paesi ricchi e moderni) è cambiata, o meglio, è calata nei numeri. Anche nel Regno Unito (per fare un esempio), nonostante le gravidanze indesiderate di molte giovani, specie tra le meno astemie, e col paradosso che nella loro fascia d’età è in aumento la promiscuità: il paese libero e disinibito, inventore della minigonna e all’avanguardia nell’accettare l’omosessualità (non solo quella dei divi del pop-rock; sembra passato molto più di un secolo dall’età vittoriana, quella del processo a Oscar Wilde, 1895, anno in cui è nato il cinema e forse pure il circo mediatico-giudiziario).

Gli ultimi dati statistici disponibili rivelano che i rapporti sessuali, in media, su base mensile, sono calati da 4 a 3 (con la conseguenza, ovvio, di un sensibile calo delle nascite; certo, esiste la contraccezione, e pure questa incide: tuttavia dette precauzioni si prendono se c’è una pratica, e qui di pratica ce n’è sempre di meno. Ci voleva Lancet (2013), autorevolissima rivista scientifica, per dirci che “la condizione femminile continua lentamente a evolversi verso una maggiore indipendenza dall’uomo”, e “ciò si traduce anche in una minore quantità di donne che vivono in coppie eterosessuali”, sicché “uno dei cambiamenti netti, all’interno della popolazione femminile, sta in una maggiore propensione all’omosessualità”. Ma va?

I virgolettati qui sopra li troviamo in un bel saggio appena uscito: “Il declino del desiderio. Perché il mondo sta rinunciando al sesso” (Einaudi, ottobre 2022), scritto dallo psicoanalista di fama mondiale Luigi Zoja e presentato come “uno studio approfondito e senza precedenti sulla sessualità nel nostro tempo, avviata nell’indifferenza generale verso un declino difficile da arrestare”. E ancora, dalla quarta di copertina: “La vita erotica del XXI secolo incontra nuovi problemi perché deriva da una sottrazione: è quello che sopravvive dell’amore quando è stato privato del mito (…) In Occidente è in atto una tendenza che potrebbe estendersi all’intero mondo globalizzato: l’attività sessuale è in costante diminuzione, specialmente tra i più giovani, mentre è aumentata l’età media del primo rapporto. Nemmeno l’avvento delle app per incontri ha corretto questa rotta, rivelandosi persino controproducente. Eppure, intorno a una questione tanto cruciale, inedita e ricca di implicazioni, non si è ancora costruito un vero dibattito. Qual è l’origine di questa rinuncia? E com’è possibile che un fenomeno di tale portata avvenga in una società che, grazie alla rivoluzione sessuale, pareva essersi liberata da tabù e costrizioni? (…) Le infinite prefigurazioni del desiderio sessuale, che non provengono più dall’interno della personalità, come ciò che chiamiamo eros, ma ci giungono già confezionate dal mercato, o dalla pressione di certi gruppi; si tratta di libertà totale solo a parole, che nei fatti è spesso vissuta come prigionia all’interno del corpo e delle sue funzioni”. L’autore-studioso fa il suo excursus storico e, partendo dai numeri, va “alla ricerca delle motivazioni profonde di una generale fuga dall’intimità dei corpi, nel tentativo di riportare finalmente la sessualità al centro del discorso, come aveva fatto Freud per primo oltre un secolo fa”. Cioè: da grande protagonista del secolo scorso, la sessualità potrebbe essere avviata a una dissoluzione come pratica, ma perfino come tema. Il problema è immenso, le discussioni che lo riguardano sono squittii di un topo». Urca, c’è poco da stare allegri.

Convitato di pietra, il desiderio: il “destino (senza futuro? – ndr) del desiderio” (Recalcati), quindi l’attitudine a desiderare. Oggi manca il senso di mancanza (volano del desiderare: si desidera solo ciò che manca, che non si ha a disposizione, ed è una regola universale che vale anche in economia; è la regola della scarsità, del non inflazionare l’offerta sennò il bello della domanda va a ramengo, soprattutto in una società dell’abbondanza h24; il troppo stroppia, la bolla scoppia). Esageriamo: e se avesse ragione Lacan, quando sostiene che “non esiste rapporto sessuale” (il n’y a pas!)? Già: se non esiste, che senso ha scriverne?

Il web tracima di siti e “porcali” dedicati a una specie di all you can eat (carni vere, mica cose da vegani) per tutti i gusti e i disgusti, dove l’ingresso è libero, l’accesso è gratuito e la consumazione (in tutte le salse, specie quelle più piccanti) è d’obbligo: boh, caro Lacan, forse fraintendiamo noi, sono solo canzonette, non mettermi alle strette: magari si tratta di seminari sul surriscaldamento globale, o meeting sulla transizione scatologica. Siamo nell’era della “scomparsa del prossimo” (Zoja 2009), dell’individualismo-atomismo-netflixismo spinto (“Padroni dello zapping a casa nostra!” lo slogan), di tanti hikikomori che tra un sudoku e un seppuku metaforico tardo-nerd puntano al ventre molle del capitalismo (quasi fossero novelli Mishima) finendo però con il colpire e colpevolizzare sé stessi. Dal Maschio Alfa al Maschio Romeo, protagonista romantico degli Aristogatti. Mentre le donne sono sempre più pratiche, sgamate e muscolari, e al babydoll preferiscono il body building. Per questo due miei amici hanno rischiato di essere denunciati per “modestie” sessuali.

Tra distratti ed equidistanti, neo-casti e neo-astinenti, assuefazione alla virtualità e invenzioni di viziosità varia, psicoansie e nuovi rischi, solipsismo e onanismo, “disturbi del sistema binario” (Magrelli 2006) e “quella maledetta paura di non essere all’altezza” (Morelli 2022), scopriamo che il libro nero dell’intimità a due è fatto di pagine oscure, zone grigie, storie rosé di chi va in bianco: altroché 50 sfumature di ligio (al dovere), qui siamo al disarmo e alla resa strategica, tipo minestrina in brodo, alla pera cotta con stracchino magro di tanti, troppi ricoverati in terapia “ostensiva” (si annuncia, ci si autorappresenta, ma alla fine non si trova la quadra, il cerchio resta aperto). Sono passati 60 anni dalla Primavera silenziosa della biologa ambientalista Carson (1962), ma “l’inverno del nostro scontento” (Shakespeare) ha bisogno di un ritorno alla lingua madre e al selvatico, di ricominciare come bio comanda.

Mala “tiepida” currunt. Con la tecnologia digitale oggi è più facile comunicare, incontrarsi, ma questa comodità sembra non faccia la differenza da un punto di vista operativo e prestazionale. Nel regno del turbo-furbo-consumismo non consumare sembra un paradosso, un controsenso, eppure... Che sia una forma volontaria di protesta o una reazione inconscia a tutta ‘sta cornucopia?Una prece… da cui questa litania:

– durante i mesi del lockdown da Covid le vendite di sex toys sono salite alle stelle… sì ma, paradosso, del sesso – ci dicono le ricerche di laboratorio scientifico-sperimentali dell’equipe del luminare prof. Catz, i famosi test di Catz – oggi si fa volentieri a meno;

– dopo il distanziamento sociale e l’isolamento dei corpi ci si sarebbe aspettati un “effetto-rimbalzo” di tutto rispetto, per recuperare le occasioni e il tempo perduto… e invece nulla di eclatante o di compensativo sul fronte coitale (anzi, l’astinenza forzosa ha forgiato l’abitudine al digiuno, un po’ per pigrizia e un po’ per atrofia, o magari per mutamento delle priorità – con annesso recupero di valori più stabili – oppure per la fortificazione di una comfort-zone resiliente e desistente estranea alla fatica mentale e al rischio passionale, compreso quello di contrarre malattie veneree);

– la proliferazione delle app di acchiappo tipo Tinder, Meetic, Facebook Dating e via chattando… sì, ma di sesso – ora pro nobis – a conti fatti se ne fa comunque poco. “In media ogni 100 swipes (“strisciate” o “scrollate”: si parla di Tinder – ndr) si arriva a soli 1,63 match, e il match non consiste in una notte di passione, ma solo nello scambio di un like” (Zoja 2022);

– lo sdoganamento e l’onnipresenza del porno online, ormai l’unica agenzia sessualmente educativa in real time (ciaone scuola pubblica!) delle nuove generazioni, con tutto quel che ne concerne in tema di stereotipi di genere, falsi miti e persino violenza latente… ok, ma nella vita reale il sesso si pratica sempre più raramente, e nonostante l’alto turn-over dei partner;

– il consumo anche tra i giovani della cosiddetta pillola blu, nella top five dei farmaci più venduti insieme ad ansiolitici e antidepressivi (e non è un caso)… ok, ma le statistiche dicono che i rapporti ugualmente non abbondano;

– le mode e la pubblicità spingono su cisgender o transgender che non devono chiedere mai, quindi sull’osare e quando serve pure sull’usare, ‘sti filoni. Del tipo: si vive una sola volta, Dio è morto e anche tu non hai una bella cera, per cui dacci dentro fin che puoi, sii un bomber e non un mediano. Massì, un po’ di poliamore e via (meglio abbondare che deficere, sii democratico con tutte e diversifica l’investimento, in fondo “siamo vasti, conteniamo moltitudini” direbbe Whitman, e cerchiamo complimenti da più parti per completarci o complicarci al meglio). E allora one night stand sia, una botta e via, poi tanto si fa ghosting, anche se è da “stronzing” e amen… Per segnare occorre metterla dentra (è la dura legge del gol, canterebbero gli 883): non basta fare ammuina, fare sexting da casa inviando dick pic, spararla grossa per farsi belli, abbonarsi a più profili sulla piattaforma del momento, OnlyFans, né fare i guardoni o i mammoni; lo scambismo, poi, non è che aumenti i casi d’amplesso, poiché cambiando l’ordine degli addendi le cifre assolute mica cambiano;

– la vita è tutta un quiz, ma anche un grande suk digitale, dice la mia amica giapponese Su Kyon, un mercato dove c’è chi vende e chi compra, proprio come nel Far West Web, in cui vige la legge del più forte, dove a dettare legge è l’immagine, la forma (meglio se soda e rotonda), la vanitas del mostrare la propria mercanzia senza troppi veli di Maya.

Come se non bastasse, ci mancava solo il politically correct, la cancel culture, lo schwa e gli asterischi a fine parola per non declinare il genere, il MeToo dei puritani e perbenisti forcaioli, il Se non ora quando?, i Se son rose fioriranno, i Se mi lasci ti cancello (film 2004), le castratrici calve e i narcisisti seriali, e poi Allen e Spacey e Polanski, la manomorta di Remigi, la manostorta di allenatori registi tenori e persino alpini, il revenge porn, i pop-corn con sorpresa tipo “Il tempo delle mele”, il “palp” fiction fuori dalla stadio o al veglione in piazza a Capodanno, il catcalling, il mansplaining, il dirty dancing e dirty talking fino a dirty finalmente addio!, i bimbiminkia del bullismo e le gattemorte più che mai redivive. E ancora: secondo un sondaggio del 2017 il 17% dei maschi americani di età tra i 18 e i 20 “ritiene che invitare una donna ‘a bere qualcosa’ sia già classificabile come molestia sessuale” (ancora Zoja 2022).

Tutti (apparentemente) più liberi e liberati e liberali e libertari e libertini (ma la troppa libertà, si sa, rende schiavi della smania di metterla a frutto: ottenure la libertà e non sapere che direzione prendere, che potenzialità esaudirne, insomma che farne), tutto in vetrina, tutto a km 0, col costume morale sessuale che ha fatto passi da gigante (talvolta all’indietro, da gamberi del progresso civile, e vabbè). Non ci sono più i pretori che sequestrano le riviste a luci rosse in edicola e i filmini osé nelle sale, o che bloccano gli spettacoli da night club più espliciti per oltraggio al pudore (cfr. “Il comune senso del pudore”, film del 1976); ma nemmeno non esistono più, almeno nella narrazione corrente, le cene eleganti con la disco burlesque in taverna, l’ebbrezza e l’eccesso carnascialesco della Venezia di Casanova, le feste di Trimalcione e l’epopea di Eliogabalo, il Satyricon e il Decameron, l’Aretino e il Baffo, Si sta spegnendo l’ardore dell’ardire: basta riascoltare lo scambio finale dell’ultimo film del chiaroveggente Kubrick, “Eyes wide shut” (1999). Tre battute; Lei, la Kidman: “C’è una cosa molto importante che noi dobbiamo fare prima possibile”. Lui, Cruise, un po’ ingenuone: “Cosa…”. E lei: “Scop…”.Che dire: in fondo “tutto il resto è noia”, cantava il Califfo.

Insomma, tutto più facile, on demand, take away, basta un clic; spesso però serve un “cric” per sollevare l’attrezzo e il morale, visto il deprimente andazzo… Per fortuna, però, si può sempre optare per la sublimazione o l’ascesi o la compassione (le tre vie per uscire dal buio d’un mondo schiacciato tra volontà e rappresentazione, cioè tra pulsione e inautentico: ah, il grande Arthur nell’Ottocento scrisse pure una “metafisica dell’amore sessuale”, Bur 1992).

Dalla liberazione sessuale all’ibernazione anti-sesso, dall’emancipazione alla marginalizzazione, dalle crociate al grido di “Lutero è mio e la mia riforma protestante me la gestisco io” alla ritirata strategica sotto le insegne del “grazie, le faremo sapere”; insomma: dalla gioia alla noia, dalla libido esibita alla pace dei “senza”, ovvero dalla pratica estesa all’astinenza diffusa. Sotto la spinta del Sessantotto e dopo lo sdoganamento a vario titolo del 69 (una sorta di “parità di genere”, di democrazia letteralmente “orizzontale”), le solite ricerche e statistiche dicono che stiamo vivendo in un’epoca di grande riflusso. Una “società della stanchezza” (Byung-Chul Han; cfr. anche Serra sulla generazione degli “sdraiati” e Veneziani appena arrivato in libreria con la sua fenomenologia degli “scontenti”) dove a farsi battere dalla fiacca è quel “con-senso del dovere” naturale conosciuto come istinto: il millenario espletamento delle prerogative di Eros, dio dell’energia vitale, dell’unione dei corpi, della prosecuzione della specie.

Zoja la chiama psicoastenia: “Per difficoltà lavorative, economiche, esistenziali, la vita di un ventenne odierno è più complessa e generatrice d’ansia di quella dei coetanei di qualsiasi generazione del Novecento” (p. 209). Al sesso oggi ci si sottrae, si rinvia, per tutta una serie di ragioni che la ragione, parafrasando Pascal, non sempre riconosce come ragionevoli, ma tant’è. Fa paura, per cui “il richiamo della foresta” (London) è tenue, flebile, lo si aggira con surrogati e palliativi o, alla meglio del meno peggio, lo si riduce a “piacere solitario”, a passatempo antistress certosino, da amanuensi 2.0 che faticano a tagliare i ponti (continuando a farci i conti) con il proprio ombelico e, se va bene, i propri “neuroni spettro”.

In principio fu Freud con le sue articolate e rivoluzionarie teorie in materia di sessualità e, più avanti, di “disagio della civiltà” (che per esistere e resistere deve reprimere certe pulsioni). La controcultura beat e hippie, l’uscita dai tabù per aderire a nuovi totem, la nuova religione del tutto-e-subito, evvai! Poi, trascorsi alcuni decenni, libri che fecero epoca come la “paura di volare” della Jong e l’italianissimo “porci con le ali” sono stati sostituiti, per dire, da concetti come “paura di volere” e “paduli con le ali tarpate”. Oggi, proiezione per proiezione, ci si butta sul lavoro o sulla creatività artistica (dalla frizione alla fruizione: libri, musei, concerti, trekking, uncinetto), fuggendo dalle rogne e dalle responsabilità derivanti dallo stare in un sistema di relazioni figlio di un mondo cinico, baro e barzotto (cioè a metà).

Massì, eccitiamoci a citare, tanto – te pareva – ambasciator mica porta “pene”.Quindi: dal ronzare studentesco del giornalino La Zanzara al liceo Parini al “non si sente volare una mosca” nelle camere da letto delle coppie di oggi; dalle lenzuolate giornalistiche dei pionieri della liberazione, capaci di fare rumore nella morale pubblica e pubica, al sound of silence sotto le lenzuola dei nuovi “renitenti alla lena”. Dunque: bye bye Marcuse con la sua battaglia contro la società repressiva colpevole di deprimere anche il sesso, bye bye Reich con i suoi studi sull’energia sessuale e le macchine orgoniche per favorire l’orgasmo, e bye bye pure Fromm con la sua “arte di amare”, che una volta imparata la si è messa subito da parte.

Parentesi a corredo. In un altro libro, “Ancora bigotti. Gli italiani e la morale sessuale” di Lombardi Vallauri (Einaudi 2020), leggiamo che “la morale sessuale sia una delle cose in cui la nostra civiltà è progredita di meno negli ultimi 4000 anni. Chi ritiene di non avere limiti non oserebbe mai farlo in piú di due. Tutte le coppie ostentano una stretta monogamia, e ogni contatto con terzi è considerato un tradimento che può distruggere il rapporto. Anche i giovanissimi vivono sostanziali matrimoni di reciproca sorveglianza. E mentre tutti si dichiarano libertari, di fatto si danneggia continuamente la reputazione delle persone a partire dai loro comportamenti sessuali. Nel profondo la morale sessuale è mutata pochissimo, e per alcuni aspetti sta tornando indietro, come segnalano molti intellettuali”.

Poi è arrivato Bauman, polacco, a dirci che anche l’amore (come la modernità, come la società) oggi è più liquido che mai. Liquido sì, per le dinamiche poco mistiche e molto consumistiche (homo consumens) con cui si svolge il corteggiamento e l’accoppiamento, ma anche “liquidato”, nel senso di messo da parte, fatto fuori dalle nuove tendenze del mercato dell’intrattenimento e da prassi postmoderne sempre più deboliste in fatto di ancoraggio alle grandi narrazioni socio-culturali e letterarie. Siamo merci alla mercé del mercato: no string attached – senza complicazioni affettive o romanticismi afflittivi.

Ultimi dati. Ai giovani fare fiki-fiki non interessa granché (preferiscono, o meglio, dirottano la loro nave-scuola verso ilgaming, la PlayStation, il parkour, Tik Tok, il twerking) e tra i 16 e i 24 anni coloro che copulano tendono a credere – tenetevi forte – alla monogamia, in controtendenza rispetto alla generazione precedente. Laici sì, ma fedeli… almeno per mancanza di occasioni (quelle che fanno l’uomo glabro, e difatti ormai si depilano tutti).

Noi, nel nostro piccolo (tanto le dimensioni non contano, no?), continueremo a “sperare” nel mucchio: chi c’è c’è, avanti un altro o un’altra, largo ai fucktotum della città, Figaro qua Figaro là… È uno sporco lavoro di ricucitura, e di prosecuzione della specie (ammesso che ne valga il gusto o la pena), ma qualcuno lo deve pur fare; una missione che deve suonare come un imperativo categorico kantiano: se puoi farlo, non tirarti indietro. Fallo!