BOCCA DI ROSA DI FABRIZIO DE ANDRE’: LA PROSTITUZIONE NOBILITATA A VERA PROFESSIONE

BOCCA DI ROSA DI FABRIZIO DE ANDRE’: LA PROSTITUZIONE NOBILITATA A VERA PROFESSIONE

Bocca di Rosa è una canzone scritta da Fabrizio De André insieme a Gian Piero Reverberi.

1967. Bocca di Rosa è una delle prime canzoni a parlare di una donna sessualmente libera senza giudizi e senza pregiudizi.

Il testo è velocemente entrato nell’immaginario collettivo tanto che l’Enciclopedia Treccani alla voce “bocca di rosa” assegna il significato di prostituta.

Attenzione, a un primo e più attento ascolto appare chiaro la ragazza è più una ninfomane che una puttana. Oppure puttana sì, ma di animo e non per lavoro. Insomma, voi come la chiamereste una che la da a tanti ma senza chiedere denaro in cambio?

Però nel finale della canzone, quando arriva alla stazione successiva c’è chi si prenota per 2 ore… Ma allora? Non è una prostituta o voi pensate che BdR accetti di spendere il proprio tempo e concedere le proprie grazie a chiunque indistintamente purché si prenoti, solo per “soddisfare le proprie voglie”?

Ma torniamo alla canzone. Le note richiamano Brassens di Montpellier, invece è de Andrè di Genova e la sua canzone è uno spartiacque. Lo capiremo più avanti. Racconta la storia di una ragazza, soprannominata appunto “bocca di rosa” probabilmente per le sue abilità orali o perché dolci e profumate erano le parole che uscivano da quella bocca, che appena giunta al paesino di Sant’Ilario ne sconvolge la quiete con il suo comportamento libertino. L’essere aperta comporta la risposta delle donne del paese che decidono di rivolgersi al commissario di polizia. I gendarmi, con i pennacchi, accompagnano la ragazza alla stazione di polizia e successivamente alla stazione ferroviaria. Alla partenza di bocca di rosa assistono tutti gli uomini del paese. Alla stazione successiva è accolta in modo trionfale e il parroco la vuole accanto a sé alla processione.

Testo Bocca di rosa

La chiamavano bocca di rosa
Metteva l’amore, metteva l’amore
La chiamavano bocca di rosa
Metteva l’amore sopra ogni cosa

Appena scese alla stazione
Nel paesino di Sant’Ilario
Tutti si accorsero con uno sguardo
Che non si trattava di un missionario

C’è chi l’amore lo fa per noia
Chi se lo sceglie per professione
Bocca di rosa né l’uno né l’altro
Lei lo faceva per passione

Ma la passione spesso conduce
A soddisfare le proprie voglie
Senza indagare se il concupito
Ha il cuore libero oppure ha moglie

E fu così che da un giorno all’altro
Bocca di rosa si tirò addosso
L’ira funesta delle cagnette
A cui aveva sottratto l’osso

Ma le comari d’un paesino
Non brillano certo in iniziativa
Le contromisure fino a quel punto
Si limitavano all’invettiva

Si sa che la gente dà buoni consigli
Sentendosi come Gesù nel tempio
Si sa che la gente dà buoni consigli
Se non può più dare cattivo esempio

Così una vecchia mai stata moglie
Senza mai figli, senza più voglie
Si prese la briga e di certo il gusto
Di dare a tutte il consiglio giusto

E rivolgendosi alle cornute
Le apostrofò con parole argute
“Il furto d’amore sarà punito”
Disse “dall’ordine costituito”

E quelle andarono dal commissario
E dissero senza parafrasare
“Quella schifosa ha già troppi clienti
Più di un consorzio alimentare”

Ed arrivarono quattro gendarmi
Con i pennacchi, con i pennacchi
Ed arrivarono quattro gendarmi
Con i pennacchi e con le armi

Spesso gli sbirri e i carabinieri
Al proprio dovere vengono meno
Ma non quando sono in alta uniforme
E l’accompagnarono al primo treno

Alla stazione c’erano tutti
Dal commissario al sacrestano
Alla stazione c’erano tutti
Con gli occhi rossi e il cappello in mano

A salutare chi per un poco
Senza pretese, senza pretese
A salutare chi per un poco
Portò l’amore nel paese

C’era un cartello giallo
Con una scritta nera
Diceva “addio bocca di rosa
Con te se ne parte la primavera”

Ma una notizia un po’ originale
Non ha bisogno di alcun giornale
Come una freccia dall’arco scocca
Vola veloce di bocca in bocca

E alla stazione successiva
Molta più gente di quando partiva
Chi mandò un bacio, chi gettò un fiore
Chi si prenota per due ore

Persino il parroco che non disprezza
Fra un miserere e un’estrema unzione
Il bene effimero della bellezza
La vuole accanto in processione

E con la Vergine in prima fila
E bocca di rosa poco lontano
Si porta a spasso per il paese
L’amore sacro e l’amor profano.

Eh sì, ha scritto proprio così:

C’è chi l’amore lo fa per noia
Chi se lo sceglie per professione
Bocca di rosa né l’uno né l’altro
Lei lo faceva per passione

In un sol colpo De André nobilita la prostituzione “chi se lo sceglie per professione” e fa un’affermazione importante, ovvero, una donna può fare l’amore per passione, perché le piace, non solo perché deve adempiere a un dovere coniugale, non per “noia”. La ricerca del piacere di Bocca di Rosa la porta anche con uomini sposati, perché lei è una donna sessualmente libera alla ricerca del “suo” piacere. E qui De André fa cadere un altro velo di ipocrisia, quello che vuole che le donne si “uniscano”, se vogliamo romanticizzare la cosa, solo con gli uomini di cui sono innamorate.

Punto fondamentale: Bocca di Rosa non vuole stare con questi uomini, non vuole fare l’amante, vuole “soddisfare le proprie voglie. Così facendo però si “tira addosso l’ira funesta delle cagnette a cui aveva sottratto l’osso”, delle “comari del paesino”.

Verso queste donne tradite Fabrizio De André non esprime parole di conforto, perché? Perché come tradizione vuole, le cornute invece di prendersela col marito scaricano tutte le responsabilità verso Bocca di Rosa.
Che viene cacciata dal paesino di Sant’Ilario per mano di una terza persona “una vecchia mai stata moglie, senza mai figli, senza più voglie”. Una donna che dall’alto della sua “integrità” deve punire la peccatrice e riportare la morale cristiana nella società. Da lì:

Si sa che la gente dà buoni consigli
Sentendosi come Gesù nel tempio
Si sa che la gente dà buoni consigli
Se non può più dare cattivo esempio

E così Bocca di Rosa viene accompagnata alla stazione dei treni da “quattro gendarmi con i pennacchi e con le armi”. De André ne ha anche per loro. Perché gli uomini (che nel testo sono solo delle controfigure) e gli uomini di stato non ne escono bene:

Spesso gli sbirri e i carabinieri
Al proprio dovere vengono meno
Ma non quando sono in alta uniforme

Tutto l’apprezzamento è rivolto a lei, Bocca di Rosa, “colei che per un poco portò l’amore nel paese”.

Bocca di Rosa è una canzone del 1967. È avanguardia pura. Abbiamo bisogno di canzoni così. Ascoltatela sempre e per sempre.

Ma chi era Bocca di rosa ? E’ veramente esistita?

Einstein era solito ripetere che “la cosa importante è di non smettere mai di interrogarsi. La curiosità esiste per ragioni proprie. Non si può fare a meno di provare riverenza quando si osservano i misteri dell’eternità, della vita, la meravigliosa struttura della realtà. Basta cercare ogni giorno di capire un po’ il mistero. Non perdere mai una sacra curiosità”.

Lo stesso scienziato un giorno aggiunse:

“non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso”.
La curiosità è il sentiero sul quale spendere le ore della propria esistenza.

Nei giorni scorsi (scrive questo giornalista di cui mi è ignota la firma), sistemando i quaderni degli appunti, è ritornato a veder la luce un articolo del Secolo XIX dal titolo “Bocca di rosa, addio con giallo”, datato 15 giugno 2010.

Sono una di quelle persone che non butta niente, che tiene tutti gli articoli lo incuriosiscano. La verità sulla canzone “Bocca di rosa” di Fabrizio De André è uno di quei fatti su cui avrei voluto indagare da tempo.

L’articolo del quotidiano Il secolo XIX esordisce con la frase di una donna che ammette “di uomini ne ho avuti tanti, ma sempre uno alla volta”. A metà strada fra scherzo e rimpianto sono state le ultime parole di Liliana Tassio, 88 anni, in arte Bocca di rosa.

Comprendo le motivazioni per cui ho deciso di tenere l’articolo, apparso sulla prima pagina del quotidiano di quel giorno.

Un passo indietro è d’obbligo.

Bocca di rosa è una canzone scritta nel 1967, da Fabrizio De Andrè con l’arrangiamento musicale di Gian Piero Reverberi. Il testo è velocemente entrato nell’immaginario collettivo tanto che l’Enciclopedia Treccani alla voce “bocca di rosa” assegna il significato di prostituta.

Il termine è utilizzato frequentemente dai giornalisti. Ricordo un articolo di Sebastiano Messina per la Repubblica del 22 giugno 2004 in cui si leggeva: “in questa boccaccesca novella dei nostri tempi, le bocche di rosa si sono moltiplicate e non sono arrivate con il treno ma con un pullman partito da Kiev”. Un articolo apparve sul Corriere della Sera del 14 gennaio a firma di Giuseppe Gustella in cui il giornalista scriveva che “bocca di rosa non paga le tasse perché ciò che guadagna vendendo il proprio corpo non può essere considerato reddito”.

Insomma, questa benedetta ragazza è la donna libera per eccellenza, che se ne importa zero dell’opinione degli altri e che vive l’amore come andrebbe vissuto, liberamente e istintivamente.

Ho sempre pensato che fosse una storia immaginaria, con qualche libertà di catturare dai comportamenti quotidiani di alcune donne che Fabrizio poteva incontrare nella sua Genova.

L’aver ritrovato l’articolo del Secolo XIX riferito alla morte della donna ritenuta la vera bocca di rosa mi ha spiazzato, e, mi ripeto, comprendo i motivi per cui lo trattenni negli appunti.

Ricordavo che il testo, e il personaggio immaginario, fosse ispirato alla canzone “Brave Margot” di George Brassens. Vi sono diverse similitudini tra i due brani, basta leggere alcuni passaggi della canzone di Brassens come “Margot la giovane pastorella, trovando nell’erba un gattino, che aveva appena perso sua madre, lo adottò. Si sbottona la camicetta, e lo adagia sul suo seno. Era tutto ciò che le, poverina, aveva come cuscino. Il gatto, scambiandola per sua madre, si mise a succhiare senza tante storie. Commossa, Margot lo lasciò fare, brava Margot. Uno zotico, passando là intorno, trovando il quadretto poco comune, andò a dirlo a tutti quanti e l’indomani quando Margot si slacciava il corpetto per dar la tetta al suo gatto, tutti i ragazzi del villaggio erano là” oppure “ma le altre comari del paesino, private dei loro sposi, dei loro amanti, accumularono rabbia. Pazientemente. Poi un giorno, ebbre di collera, si armarono di bastoni e feroci immolarono il gattino”.

Probabilmente un insieme di motivazioni ha dato adito a diverse ipotesi minori, legate alla frequentazione di Fabrizio, a scopo sociale, dei quartieri della prostituzione di Genova.

Una di queste attiene a Liliana Tassio, che si spense nel giugno del 2016 stringendo la mano dell’amica, Francesca, che sostiene da sempre che Fabrizio si fosse ispirato a lei per dare vita a BdR.

La compagna di sempre del cantautore però, Dori Ghezzi, lo esclude: “Fabrizio mi ha detto che non era genovese ma una fan che gli aveva raccontato la sua vita. Mi sembra che venisse da Trieste”. Anche Paolo Villaggio, amico fraterno di Fabrizio, disconosce questa versione dei fatti: “non ho mai conosciuto la Tassio, ma sono moltissime le persone che mitizzano il proprio passato. E questa sarà un’altra leggenda, bocca di rosa non esisteva nemmeno”.

Dobbiamo ricollegarci alle parole della compagna di De André, Dori Ghezzi, per cercare di comprendere. Leggendo l’unico romanzo del cantautore, Un destino ridicolo, scritto a quattro mani con Alessandro Gennari, sembrerebbe che la bocca di rosa cantata sia Maritza Vittorio Bo. Fabrizio così la racconta: “era un’istriana bionda, alta, dalla bellezza fredda che da quando era arrivata a Genova per togliersi la voglia di Fabrizio e ridimensionarne il mito, si era fatta quasi tutti i suoi amici, senza curarsi di ciò che altri chiamavano reputazione”.

Tra storia e leggenda una mattina bussano alla porta del cantautore, si affaccia una ragazza bionda che ha trovato l’indirizzo su una rivista di musica che sibila “finalmente riesco a incontrarti”. Il resto, forse, fu messo in musica perché, si sa, gli avvenimenti importanti debbono essere ricordati.

Tre ipotesi quindi, la canzone francese di Brassens, la ragazza slovena e Liliana, la bocca di rosa della Genova tanto amata dal cantautore, che reggono il trascorrere del tempo e delle stagioni.

Quale verità?

È ipotizzabile un insieme dei fatti?

Storie di vita ascoltate in prima persona e il testo della canzone di Brassens?

Sapremo mai la verità? L’unica certezza è che abbiamo la canzone e poi, come piace a dire Giorgio Calimero, la verità è così sopravvalutata che considerarla assoluta è come voler per forza farcire l’insalata di crema pasticcera.

Opera dello scultore A. Leverone (2005) con i versi di Bocca di rosa in occasione del 60⁰ della fondazione della Società Sportiva Sant'Ilario in via Bonanno a Nervi

Tanto per completare il quadro indiziario della nostra investigazione a più mani, dobbiamo per forza citare il film di Silvio Siano, La donnaccia, interpretato da Dominique Boschiero ed uscito nelle sale nel 1965, che racconta la vicenda di una giovane prostituta rimandata con foglio di via al suo piccolo paese di origine, dove incontra l'ostracismo delle compaesane.

Due ipotesi minori collegano invece Bocca di Rosa alla regolare frequentazione che De André, negli anni in cui scrisse il brano, faceva dei quartieri della prostituzione della Genova degradata.

Da qui, come si cita in un articolo, De André potrebbe aver tratto qualche ispirazione da figure di prostitute del tempo, come quella di una tale Marilyn, una transessuale.

Infine, non bisogna trascurare il fatto che il personaggio tipico qui descritto, "la femme fatale", "la donna fatale" (che risulta sia malefica che benefica allo stesso tempo poiché, con il suo atteggiamento libertino e libero dalle convenzioni sociali e dall'ipocrita morale comune, sovverte gli equilibri sociali e morali dei luoghi in cui si trova) è assai diffuso nella letteratura italiana.

Un esempio letterario piuttosto noto è il racconto "La lupa" di Verga. In questo testo, allo stesso modo, la protagonista "gnà" Pina è una donna libertina, che professa un amore libero dalle convenzioni sociali e che viene per questo emarginata e accusata di essere quasi la manifestazione del demonio. Innamorata del marito della figlia, lo tormenta fino a che non riesce a sedurlo. Intervenuti i brigadieri per sistemare la situazione (un rapporto tra due persone legate da un legame di parentela), la donna si allontana per un breve periodo ma, quando torna, viene uccisa dal genero. Le somiglianze sono palesi tra i due testi: il che non significa che vi sia un'influenza diretta di questo sul brano di Faber, tuttavia non bisogna trascurare il fatto che i richiami, seppur indiretti, vi sono.

In un'intervista televisiva rilasciata a Vincenzo Mollica nel 1988 alla domanda "Qual è la canzone che più ti assomiglia?" De André rispose: "Sicuramente Bocca di rosa".

E infine, per chiosare alla mia maniera, ecco un umile pensiero sulla canzone: lo chiamerò “BdR secondo EdV”.

Ci sono tante di quelle cose che ogni giorno creiamo e manipoliamo. E meno spesso ci sono fatti eventi invenzioni e frasi che si impadroniscono di noi e si manifestano attraverso noi. Non noi tutti, badate bene, solo i più fortunati o meritevoli. I più sempliciotti chiamano questo fenomeno, la parola di Dio oppure un’ispirazione ecc. (ecc ovvero  e.cazzate.conseguenti.)

In realtà ci sono concetti e regole della natura così netti, così forti, che per forza di cose devono materialmente manifestarsi o pronunciarsi. Tipo la vita.

Siamo tutti creature del caos e del binomio causa-effetto, governati e organizzati da principi fissi e trasformazioni casuali e continue che chiamiamo scientifici scientifiche e su cui abbiamo differenziato milioni di rami così come ci trovassimo di fronte a un gigantesco albero che manco al Sequoia Park in California.

BdR è una gustosa e chiarissima poesia vomitata e messa in musica da un uomo straordinariamente sensibile che spalanca alla comprensione di chiunque l’elementare concetto di libertà e di quanto questa possa essere pericolosa in quanto tendente a uscire da schemi rassicuranti.

Una grande poesia è qualcosa che si crea nella testa o nella bocca o nelle corde di una chitarra allo stesso modo, né più né meno, in cui l’acqua si forma quando tanti triangoli di idrogeno e ossigeno si ritrovano vorticosamente vicinissimi.

Non si tratta di miracoli ma di eventi semplici e straordinari la cui comprensione, quando si innesca, illumina le nostre vite oscure.